L’advertising, ossia l’ambito del marketing e della comunicazione che ha a che fare con la pubblicità, è uno dei settori che oggi sta maggiormente sfruttando le potenzialità dell’intelligenza artificiale, in particolare il machine learning (spesso il supervised learning, l’apprendimento automatico supervisionato).
È proprio da qui che parte Quantcast, società nata a San Francisco con un focus sulla cosiddetta “audience intelligence” (analisi e misurazione del pubblico), di cui ci ha parlato in una recente intervista Ilaria Zampori, General Manager di Quantcast Italia.
«Quantcast è nata nel 2006 proponendo fin da subito il machine learning nell’advertising», esordisce Zampori. «L’idea è stata fin da subito quella di sfruttare le più avanzate tecnologie di audience intelligence per analizzare il comportamento dei consumatori (nel pieno rispetto della privacy e delle normative) per presentare pubblicità personalizzate, rilevanti e mirate, capaci cioè di raggiungere il pubblico corretto al momento più opportuno».
Il machine learning, di fatto, consente di “classificare” gli acquirenti (o i cosiddetti “converter”) e di creare poi un modello di analisi con il quale intercettare i consumatori che hanno un comportamento simile a quello degli acquirenti o dei converter.
«La tecnologia di fondo (il machine learning) è la base della nostra piattaforma che, di fatto, va ad analizzare il comportamento online dei consumatori (ad oggi sono oltre 100 milioni le applicazioni web nel mondo monitorate da Quantcast) dal quale è poi possibile ricavare strategie di advertising più efficaci», spiega Zampori. «Quantcast ha una doppia anima: la prima è un’unità dedicata al “publishing” ed aiuta gli editori a capire meglio chi è il proprio pubblico di lettori, chi sono e come si comportano i navigatori sui siti; la seconda è un’unità più focalizzata sull’advertising, è quella che permette ai brand di presentare il messaggio giusto all’utente in un particolare momento e contesto, quello dove è più propenso ad effettuare un’azione mostrando interesse verso il brand».
Machine learning e advertising, un binomio che deve tener conto di privacy e GDPR
Il tracciamento dei comportamenti è anonimo, «non sappiamo nome e cognome degli utenti, sappiamo come si sono comportanti online ed è da quelle “condotte” che capiamo a che tipo di messaggio pubblicitario possono essere più interessati o meno», puntualizza la numero uno di Quantcast Italia. «Va poi precisato che anche questo tipo di tracciamento (quello dei cookies, meccanismi di identificazione di un client presso un server) avviene solo con il consenso dell’utente».
Il rispetto della privacy e delle normative come il GDPR è doveroso quando si trattano e analizzano i dati delle persone: «è un tema per noi molto importante; lo scorso anno, prima ancora dell’entrata in vigore del GDPR, abbiamo lanciato, in versione gratuita, Quantcast Choice. Si tratta di una piattaforma di “consent management” attraverso la quale gestire i consensi degli utenti (permette agli editori e ai marketer di fornire ai consumatori il controllo su come e quando condividono i loro dati attraverso una scelta opt-in chiara e non ambigua)».
In dettaglio, la piattaforma permette ad editori, inserzionisti e altri proprietari di siti web di ottenere e trasmettere il consenso esplicito dei consumatori per poter erogare delle pubblicità rilevanti e dei contenti personalizzanti nel pieno rispetto del regolamento europeo generale sulla protezione dei dati.
Da maggio 2019 c’è anche una versione premium che, oltre ad aggiungere specifiche funzionalità per editori, publisher e marketer (come l’implementazione di tag di consenso per più siti web, la personalizzazione illimitata di temi e copy, la traduzione automatica in più di 10 lingue, …), introduce un portale di gestione del consenso basato sul Transparency & Consent Framework di IAB Europa (anche nelle sue versione future, assicurando un costante aggiornamento) e un sistema di gestione separata per il consenso dei prodotti Google, inclusi Google Analytics, AdSense e Ad Manager.
Evitare il bombardamento pubblicitario, questo è il valore del machine learning per il consumatore
«Analizzare il comportamento degli utenti online per cercare di capire quando è “più pronto” a ricevere un messaggio o entrare in contatto con un brand ha uno scopo che per il consumatore si traduce anche in valore», ci tiene a sottolineare Zampori. «L’obiettivo finale è presentare al consumatore dei messaggi che siano rilevanti e pertinenti evitando il bombardamento pubblicitario che effettivamente, ormai è noto, non porta né vantaggi alle aziende né tantomeno porta un beneficio alle persone che sono stanche di ricevere pubblicità non in linea con i propri interessi».
Il principio di base, tutto sommato è molto semplice: se un utente riceve di continuo pubblicità non pertinenti, ritiene l’advertising solamente un disturbo; se invece riceve solo messaggi in linea con i propri “desideri” allora è più propenso a percepire la pubblicità come un servizio di valore. Per mostrare messaggi coerenti alle aspettative degli utenti, bisogna monitorarne il comportamento online.
«Va anche detto che siamo arrivati oggi, come utenti, a non voler più essere disturbati dalla pubblicità proprio a seguito del continuo bombardamento tipico del modo tradizionale di fare advertising», precisa Zampori.
Lo hanno dimostrato anche i successi che hanno ottenuto negli anni passati i vari sistemi di AdBlock. Oggi le agenzie, i media e in generale i brand che si rivolgono ai consumatori finali, e hanno nell’advertising la parte predominante del budget di marketing e comunicazione, si stanno rendendo conto che bisogna cambiare approccio e che oggi ci sono delle tecnologie che possono aiutarli a raggiungere meglio il proprio utente target.
Advertising “nuovo” grazie al machine learning. Le aziende ci credono…
L’intervista a Ilaria Zampori è occasione anche per provare a capire il livello di maturità delle aziende rispetto alle nuove tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning, naturalmente rimanendo nel contesto di applicazione al marketing e alla comunicazione. «Stiamo riscontrando un altissimo interesse e una certa propensione alla sperimentazione di queste tecnologie – condivide Zampori -; c’è sicuramente molta attenzione, sia in Italia che in altri paesi. Da una nostra ricerca, condotta in collaborazione con Forbes Insights [su un panel di oltre 500 manager del marketing di alto livello; nello specifico, l’indagine ha coinvolto CMO, responsabili marketing, responsabili digital e CDO di vari settori tra cui media ed entertainment, tech, telecomunicazioni, automotive e servizi finanziari – ndr], emerge chiaramente che, nonostante l’intelligenza artificiale rappresenti una tecnologia emergente non ancora sfruttata dalle aziende, la maggior parte dei marketer ritiene che assumerà un ruolo sempre più centrale nelle strategie di marketing. Il 72% degli intervistati è convinto che avrà importanza rilevante nell’ambito delle misurazioni più precise, condizione grazie alla quale si riuscirà ad avere una conoscenza maggiore e più approfondita delle esigenze dei consumatori e dei prospect (per il 55% dei marketer interpellati). Per il 53% degli intervistati i benefici si vedranno anche nelle segmentazione comportamentale più profonda della propria audience di riferimento, un altro 52% è convinto che potranno esserci benefici anche nell’engagement attraverso l’utilizzo di comunicazioni più efficaci».
Un altro dato interessante che emerge dalla ricerca citata da Ilaria Zampori riguarda l’impatto dell’intelligenza artificiale non tanto sulle attività operative quanto sugli aspetti più strategici del marketing e della comunicazione: l’80% degli intervistati dichiara che le tecnologie dell’alveo dell’AI, esonerandoli da alcune mansioni quotidiane, permetterà loro di concentrarsi maggiormente sulla strategia.
«Quando parliamo di intelligenza artificiale e machine learning, oggi, ci riferiamo a tecnologie che, di fatto, vanno ad automatizzare dei processi», puntualizza Zampori. «Esonerare le persone da mansioni e attività quotidiane manuali e ripetitive significa avere più risorse (tempo e competenze) per la definizione e l’analisi della strategia e, soprattutto, per la misurazione dei risultati che non solo consente di avere una vista sull’efficacia delle scelte di marketing e comunicazione ma può avere anche importanti risvolti sul business dell’azienda o del brand».
…ma la strada è in salita, bisogna lavorare molto sui dati
Il panorama roseo viene però un po’ annebbiato da quelle che sono le attuali difficoltà delle aziende, soprattutto legate all’analisi dei dati. «I brand hanno una quantità innumerevole di dati a disposizione – precisa Zampori – basti pensare a tutti i touchpoint che un consumatore ha nella sua navigazione; la sfida è tramutare questi dati in actionable insights, ossia informazioni e conoscenza utile per prendere decisioni strategiche. Ed è qui che entra in gioco il machine learning».
Brand o agenzie che, a titolo di esempio, devono creare nuove strategie di posizionamento di un prodotto sul mercato o decidere il progetto creativo di una campagna, hanno maggiori chance di successo se riescono a capire quali sono e come si comportano gli utenti “tipo” che effettivamente acquistano i loro prodotti.
«Per definire una strategia efficace o ideare una campagna che abbia buone probabilità di successo bisogna prima partire dai dati – evidenzia Zampori -; non basta abbracciare nuove tecniche di digital marketing, bisogna conoscere il proprio pubblico di riferimento».
Ed è forse proprio per questo che l’anima consulenziale dell’azienda ha un peso rilevante: «la parte forse più complessa non riguarda l’analisi del comportamento degli utenti, oggi la tecnologia è davvero matura per poterlo fare, ma la misurazione delle strategie e delle attività messe in campo. Per noi è fondamentale trasferire alle aziende una nuova modalità di approccio all’advertising con una chiara comprensione dei risultati raggiunti; vogliamo che le aziende vedano (e misurino) l’impatto che la nostra tecnologia e la sua applicabilità nel contesto aziendale hanno avuto sulla crescita del business», conclude Zampori.