AI generativa

Tecnologie del linguaggio: un nuovo modo di comunicare



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Assistenti virtuali che rispondono prima ancora che terminiamo la frase, chatbot che sembrano conoscere meglio di noi i nostri bisogni, e traduttori automatici che ci evitano persino lo sforzo di cercare una parola nel dizionario. La sfida non è nell’evitare le tecnologie del linguaggio ma nel saperle usare senza rinunciare alla nostra capacità critica

Pubblicato il 3 mar 2025

Angelica Eruli

Founder and CEO WeContent




La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.” Bertrand Russell, con la sua saggezza da filosofo e matematico, probabilmente non immaginava che, nell’era delle tecnologie del linguaggio, il rischio principale non sarebbe stato tanto quello di non aprire il paracadute, quanto di lasciarlo direttamente a un algoritmo, sperando che atterri al posto nostro. E, diciamolo, la tendenza non è delle migliori.

Assistenti virtuali che rispondono prima ancora che terminiamo la frase, chatbot che sembrano conoscere meglio di noi i nostri bisogni, e traduttori automatici che ci evitano persino lo sforzo di cercare una parola nel dizionario. Certo, tutto questo è comodo, veloce e incredibilmente efficiente. Il problema? Che mentre l’intelligenza artificiale si allena a parlare sempre meglio, noi rischiamo di dimenticare come si fa. La sintassi si semplifica, il lessico si impoverisce e le frasi nominali diventano la norma. Del resto, perché complicarsi la vita con subordinate e metafore quando l’AI generativa ci propone soluzioni chiare, concise e mediamente accettabili?

E così, tra un suggerimento del correttore automatico e una frase preconfezionata, rischiamo di passare dall’essere protagonisti del linguaggio a semplici spettatori di un copione scritto da un algoritmo. Il vero paradosso? Mentre ci vantiamo di avere strumenti capaci di elaborare testi complessi in pochi secondi, ci stiamo lentamente abituando a pensare in modo sempre più lineare.

Eppure, la sfida non è nell’evitare le tecnologie del linguaggio — sarebbe come rinunciare al paracadute per paura che si apra da solo — ma nel saperle usare senza rinunciare alla nostra capacità critica. In fondo, l’AI può anche scrivere per noi, ma il vero salto di qualità lo facciamo solo quando scegliamo di non spegnere il cervello.

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Cosa sono le tecnologie del linguaggio

Le tecnologie del linguaggio rappresentano l’insieme di strumenti, metodi e applicazioni basati sull’elaborazione automatica del linguaggio umano. Si fondano sull’integrazione tra la linguistica computazionale, l’intelligenza artificiale e informatica, con l’obiettivo di comprendere, analizzare e generare testi e discorsi in modo naturale.

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Attraverso l’uso di algoritmi avanzati e modelli di machine learning, le tecnologie del linguaggio sono in grado di elaborare grandi quantità di dati linguistici, rilevando schemi sintattici, semantici e pragmatici. Tra le principali applicazioni rientrano i sistemi di traduzione automatica, il riconoscimento vocale, i chatbot, gli assistenti virtuali e i motori di ricerca semantica.

Uno degli aspetti distintivi delle tecnologie del linguaggio è la loro capacità di adattarsi al contesto comunicativo, modulando il registro, lo stile e il vocabolario in base alle esigenze dell’utente.

Questo processo avviene grazie alla combinazione di reti neurali e modelli linguistici pre-addestrati, come i Large Language Model (LLM), capaci di simulare il linguaggio umano con sorprendente naturalezza. Tuttavia, queste tecnologie sollevano anche questioni etiche e sociali, legate alla trasparenza degli algoritmi, alla privacy dei dati e all’impatto sulla comunicazione interpersonale.

Le ragioni del successo delle tecnologie del linguaggio: un mix di semplificazione linguistica e pigrizia umana

La semplificazione linguistica non è un fenomeno totalmente imputabile all’uso dell’AI, perché è intrinsecamente connesso al principio di economia cognitiva, secondo cui il cervello umano tende a minimizzare lo sforzo richiesto per elaborare e produrre informazioni.

In termini sociolinguistici, questo principio si traduce nella preferenza per strutture sintattiche più brevi, vocabolari essenziali e costruzioni grammaticali meno complesse, specialmente nei contesti comunicativi quotidiani. Questa preferenza si spiega attraverso il concetto di processing cost, ovvero il costo cognitivo associato alla comprensione e produzione del linguaggio: ridurre la complessità consente di ottimizzare le risorse mentali, garantendo al contempo una comunicazione efficace.

L’intelligenza artificiale risponde perfettamente a questa esigenza di risparmio cognitivo, fungendo da facilitatore nella mediazione linguistica. I modelli linguistici avanzati, come i Large Language Models (LLM), quindi, semplificano il processo di formulazione dei messaggi anticipando le intenzioni dell’utente e generando testi coerenti e contestualmente appropriati.

Funzionalità come la predizione automatica delle parole, i suggerimenti di completamento delle frasi e la traduzione istantanea non solo accelerano la comunicazione, ma riducono lo sforzo mentale necessario per organizzare il discorso. In questo modo, l’AI si allinea alla naturale inclinazione umana verso l’economia linguistica, offrendo soluzioni che soddisfano il desiderio di immediatezza e semplicità senza compromettere la qualità del contenuto.

Dal punto di vista sociolinguistico, questa convergenza tra pigrizia cognitiva e assistenza tecnologica sta plasmando nuove norme comunicative. La diffusione di espressioni semplificate e formule preconfezionate sta progressivamente ridefinendo i registri linguistici, favorendo l’emergere di un linguaggio neostandard che privilegia la rapidità e l’accessibilità.

Le tecnologie del linguaggio e le variabili sociolinguistiche

Dato il crescente utilizzo (o abuso?) delle tecnologie del linguaggio è possibile considerare le loro implicazioni anche sulla teoria sociolinguistica di Gaetano Berruto: lo studioso aveva già codificato le variazioni linguistiche:

  • Diatopia: variazione linguistica legata alla dimensione geografica (es. differenze dialettali).
  • Diastratia: differenze linguistiche determinate dall’appartenenza a differenti classi sociali.
  • Diafasia: variazione stilistica in base al contesto comunicativo, che si colloca tra i poli dell’informale e del formale.
  • Diamesia: differenziazione linguistica in base al canale comunicativo utilizzato, distinguendo tra modalità orale e scritta.
  • Diatecnica: variazione determinata dal mezzo tecnologico attraverso cui avviene la comunicazione.

Se queste categorie hanno permesso di comprendere la complessità della comunicazione umana, l’avvento dell’intelligenza artificiale ha introdotto una nuova dimensione che sta ridefinendo profondamente tali parametri. L’AI, infatti, agisce come catalizzatore di un processo di uniformazione linguistica, favorendo la diffusione di un registro medio che si colloca tra il parlato informale e lo scritto standard. Tale registro si distingue per:

  • una sintassi più paratattica, caratterizzata dall’uso prevalente di frasi brevi e coordinate.
  • La riduzione delle subordinate, che semplifica la struttura del discorso.
  • Un impiego più frequente di frasi nominali, funzionali a trasmettere informazioni in modo rapido e diretto.

Parallelamente, l’AI ha ampliato il concetto di diatecnica, trasformandolo da una semplice variazione legata al mezzo tecnologico in un’interazione dinamica con il medium digitale. A differenza della diatecnica tradizionale, influenzata dal dispositivo utilizzato (telefono, computer, social media), l’interazione con gli algoritmi linguistici introduce una nuova dimensione: il linguaggio non si adatta solo al mezzo, ma viene modellato dai suggerimenti, dalle correzioni e dalle predizioni offerte dall’AI, generando una forma di comunicazione co-costruita.

Si potrebbe quindi pensare a una nuova variabile sociolinguistica, chiamata diafronesi, un termine che nasce dall’unione di διά, «attraverso» + φρόνησις, «intelligenza, saggezza pratica» che combina l’idea dell’attraversamento con il concetto di intelligenza applicata. È importante considerare che il termine phronèsis, distinto da nous (intelletto puro), indica una forma di saggezza pratica, particolarmente pertinente per descrivere l’interazione tra uomo e AI, dove il linguaggio è modellato da processi di apprendimento automatizzato.

La diafronesi che analizza l’influenza dell’interazione tra esseri umani e intelligenza artificiale sulla costruzione e l’evoluzione del linguaggio si manifesta attraverso l’adattamento del lessico, della sintassi e dello stile comunicativo in risposta ai suggerimenti e alle elaborazioni dell’AI, evidenziando il ruolo dell’intelligenza pratica nel modellare nuove dinamiche espressive.

La variabilità alla base dell’evoluzione (fino ad oggi)

L’integrazione delle tecnologie del linguaggio nei processi comunicativi e cognitivi ha indubbiamente incrementato l’efficienza e la produttività umana, semplificando attività complesse e accelerando l’accesso alle informazioni. Tuttavia, questa spinta verso l’ottimizzazione comporta il rischio di una progressiva omologazione del pensiero, limitando la variabilità intellettuale e culturale, elemento essenziale per l’evoluzione dell’individuo e della società. In termini sociolinguistici, la variabilità rappresenta la capacità del linguaggio di adattarsi a contesti diversi, favorendo l’innovazione espressiva e la diversificazione delle prospettive cognitive.

La variabilità non è un semplice prodotto della diversità culturale, ma il motore stesso dell’evoluzione umana. La pluralità di espressioni, stili comunicativi e visioni del mondo stimola il pensiero critico, promuove la creatività e consente di affrontare problemi complessi con soluzioni originali. In questo contesto, l’AI rischia di ridurre tale ricchezza, poiché i suoi algoritmi si basano su modelli predittivi che privilegiano forme linguistiche standardizzate, appiattendo le differenze individuali e culturali. Questa tendenza può limitare la capacità di elaborare nuovi concetti, riducendo l’adattabilità dell’essere umano a contesti in continua evoluzione.

Dal punto di vista evolutivo, la capacità dell’uomo di sviluppare linguaggi differenti e di modulare il proprio pensiero in base all’ambiente circostante è stata determinante per il progresso della civiltà. La standardizzazione imposta dall’AI rischia di interrompere questo processo, sostituendo la varietà di punti di vista con un modello comunicativo uniforme. È quindi fondamentale adottare strategie che preservino la diversità linguistica e culturale, incentivando l’uso consapevole dell’AI come strumento di supporto e non come sostituto del pensiero critico. Solo mantenendo viva la variabilità si potrà garantire un’evoluzione continua, capace di adattarsi alle sfide di un mondo in costante cambiamento.

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L’homo cyberneticus e il nuovo modo di interagire con l’AI

Oltre alle ripercussioni dal punto di vista sociolinguistico, la diffusione delle tecnologie del linguaggio ha dato vita a una nuova fase dell’evoluzione umana, caratterizzata da un individuo integrato con i sistemi digitali: l’homo cyberneticus.

Un nuovo archetipo umano non si limita a utilizzare strumenti tecnologici, ma interagisce costantemente con intelligenze artificiali capaci di elaborare linguaggi naturali, influenzando così il modo in cui comunica, pensa e apprende. Tuttavia, questa simbiosi porta con sé una sfida cruciale: imparare a gestire tale interazione in maniera consapevole e non arrendevole.

L’homo cyberneticus si trova di fronte al rischio di delegare eccessivamente i processi cognitivi all’AI, con il pericolo di ridurre la propria capacità critica e creativa. Gli algoritmi, progettati per ottimizzare il flusso informativo e semplificare la comunicazione, tendono infatti a uniformare il linguaggio e a guidare le scelte espressive, limitando la variabilità che è alla base dell’evoluzione intellettuale

La sfida consiste nel mantenere un ruolo attivo nell’interazione con l’AI, sfruttandone le potenzialità senza perdere il controllo del proprio pensiero. L’homo cyberneticus deve sviluppare competenze meta-cognitive che gli consentano di discernere tra i suggerimenti dell’algoritmo e le proprie intenzioni comunicative, preservando la propria autonomia linguistica e culturale.

Inoltre, è essenziale che questo nuovo individuo acquisisca una consapevolezza critica delle dinamiche sottostanti alle tecnologie del linguaggio, comprendendo come gli algoritmi influenzino non solo la forma, ma anche i contenuti della comunicazione. Solo attraverso un’interazione attiva e riflessiva sarà possibile evitare una dipendenza passiva dall’AI, trasformandola invece in uno strumento di potenziamento cognitivo.

L’homo cyberneticus rappresenta dunque l’evoluzione dell’essere umano nell’era digitale: un individuo capace di dialogare con l’intelligenza artificiale senza rinunciare alla propria identità intellettuale, mantenendo viva quella variabilità linguistica e culturale che costituisce il motore del progresso umano.

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