Ha suscitato molto clamore nel mondo dell’arte la notizia, diffusa qualche mese fa, della vendita all’asta, nella sede newyorchese di Christie’s, di un quadro realizzato dall’intelligenza artificiale. Il concetto che ormai le arti possano confrontarsi con gli algoritmi è entrato pienamente nel campo della pittura.
Dietro l’opera, intitolata “Il ritratto di Edmond de Belamy della famiglia de Belamy”, c’è il lavoro di tre giovani tecnici che hanno spiegato in che modo sono giunti a tale risultato. In particolare, il loro lavoro si è basato sull’elaborazione di un algoritmo in grado di contenere le tecniche pittoriche del tempo e di metterle in pratica con la creazione di un prodotto finale del tutto originale. Per far ciò, l’algoritmo è stato alimentato con circa 15.000 immagini dipinte tra il XIV e il XX secolo.
A prescindere dalle considerazioni che possono essere mosse dal fatto che la vendita del quadro è avvenuta per un prezzo superiore a ogni previsione, ciò che qui rileva è l’esistenza stessa di una creazione elaborata esclusivamente con l’uso degli algoritmi e, pertanto, adoperando un sistema di informazioni tecniche in grado di sintetizzare i canoni della creatività umana e di giungere alla realizzazione di un prodotto finale definibile a tutti gli effetti come “opera d’arte”.
La firma è una formula matematica
Il dato giuridicamente interessante è certamente la firma apposta sul quadro: una formula matematica. Ciò in quanto, inevitabilmente, l’attribuzione della proprietà dell’opera aprirà certamente nuovi interessanti dibattiti sul diritto d’autore, nonché l’ampliamento di molte definizioni giuridiche che dovranno fare i conti con una realtà che si sta componendo al di fuori degli schemi tradizionali che hanno sino a oggi caratterizzato questo particolare settore del diritto. Attualmente l’opera protetta dal diritto d’autore è quella che ingloba il carattere dell’originalità. Al riguardo la Convenzione di Berna per le opere letterarie e artistiche definisce l’opera dell’ingegno oggetto di tutela come “quell’opera di carattere creativo che è frutto del lavoro intellettuale” e questa stessa definizione viene ripresa anche dalla nostra normativa nazionale (artt. 1 e 6 della legge sul diritto d’autore e artt. 2575, 2576 c.c.).
Circa un eventuale e inevitabile ampliamento delle definizioni delle opere d’arte, è stato opportunamente rilevato in un articolo dal titolo “Opere dell’ingegno e Intelligenza Artificiale” di G. Bonomo pubblicato sull’Osservatorio sul diritto d’autore, Diritto 24, il Sole 24 Ore, che “con riferimento al requisito dell’originalità e alla valutazione valore artistico di un prodotto dell’I.A., il diritto seguirà la critica dell’arte e i contesti espressivi di un periodo storico, perché non è compito del legislatore affermare che la nozione di arte presupponga un contributo umano”.
L’utilizzo del deep learning
Un algoritmo molto adoperato nel campo dell’arte è il deep learning, noto anche col nome di GAN (Generative Adversarial Network) con il quale sono stati creati possibili volti inesistenti, e che è stato adoperato anche per i video deepfake.
Al suo interno, due algoritmi vengono adoperati secondo il sistema della competizione, ossia a ogni algoritmo vengono fornite tutte le informazioni necessarie solo che il primo algoritmo viene sfruttato per creare immagini originali e viene definito “generatore” mentre il secondo algoritmo, definito “discriminatore”, ha la funzione di determinare se le immagini prodotte dal primo algoritmo sono ricavate dal database o create dal generatore. Compito del generatore è ingannare il discriminatore e, nel far ciò, sfruttando le risposte del discriminatore, è programmato per migliorarsi e, pertanto, per creare immagini sempre più originali.
Resta comunque il passaggio fondamentale della creazione attraverso l’intelligenza artificiale grazie all’opera dell’uomo nelle cui mani resta il compito fondamentale di addestrare nella fase iniziale gli algoritmi e far sì che essi giungano ai risultati auspicati.