Già da alcuni anni gli studi legali americani hanno a disposizione strumenti basati sull’Intelligenza Artificiale in grado di velocizzare e semplificare di molto le procedure. In particolare, il software COiN, di J.P. Morgan, riesce in pochi secondi ad analizzare un numero di contratti che altrimenti richiederebbero fino a 360mila ore-uomo con un numero maggiore di errori a causa dell’elevata presenza di dati. In Italia, a parte i casi di eccellenza, come quello delle law firm Portolano Cavallo e Deloitte e PwC (autori di quest’articolo, Ndr.), descritti più avanti, le applicazioni di questo genere sono ancora scarse.
La storia dell’applicazioni dell’Intelligenza Artificiale alle attività degli studi legali ha inizio negli Stati Uniti nel 1965. La American Bar Association, in collaborazione con la multinazionale IBM, prova a sviluppare un sistema di comparazione e analisi di calcoli di documentazione legale al fine di creare un indice che possa associare a un termine giuridico un certo numero di termini correlati, cosi da individuare alcuni documenti con dei termini principali e altri correlati logicamente che, utilizzando dei calcoli prestabiliti, assegnino un certo valore di rilevanza legale (nella ricerca) a ciascun documento prodotto.
All’epoca il progetto non decollò, principalmente per la mancanza di dati a disposizione per costruire l’intera struttura di sistema. Data, appunto, che oggi non mancano affatto e anzi rappresentano l’oro del nuovo Millennio.
Dunque, se quasi sessant’anni fa già si parlava di una sorta di intelligenza artificiale applicata al legal reasoning [1], sembrerebbe che ci siano oramai tutte le condizioni per svilupparla in maniera capillare e seria nel mondo legale odierno. Inoltre appare scontato che, per ragioni di opportunità organizzativa e di business, qualsiasi studio d’affari che voglia continuare a essere un player importante del mercato legale, o voglia cominciare a esserlo, debba avere quantomeno familiarità con i nuovi strumenti legati all’AI.
Già Richard Susskind in uno dei suoi ultimi libri, “L’avvocato di domani [2]”, delinea come l’applicazione dell’AI al campo del diritto possa spaziare agevolmente dai consulenti ai giudici, passando per gli avvocati in senso stretto. Un sistema che sia quindi in grado di formulare previsioni attendibili per i clienti al fine di prendere decisioni in ambito giudiziario come nello stragiudiziale.
Tuttavia, essendo l’applicazione dell’AI nei confronti del giudice una questione anche socio-politica, in questa fase ci concentreremo sulla sola possibilità di utilizzo nel campo legale in riferimento alle law firm.
CoiN e Docracy, strumenti informatici per gli studi legali
In particolare l’uso principale dell’intelligenza artificiale si concentrerebbe nell’analisi e predisposizione automatica di documenti e legal note che sono, per definizione, di basso valore aggiunto. In altre parole gli studi d’affari potrebbero aumentare i loro volumi, riducendo i costi di gestione per quelle fasi e settori che non portano valore aggiunto né al cliente né allo studio stesso. Basti pensare alla revisione dei documenti che, almeno per quanto riguarda gli avvocati praticanti o comunque i profili junior, continua ad assorbire oggi il 30-45% dell’orario professionale. Una mansione professionalmente noiosa ma molto costosa per i clienti, che risulta relativamente automatizzabile [3].
Ne è esempio il già citato software COiN (Contract intelligence) sviluppato da J.P.Morgan, che ha automatizzato il check dei documenti nel settore del credito. La particolarità del software si trova nell’utilizzo del c.d. apprendimento non supervisionato (Unsupervised learning) come tecnica di apprendimento automatico sulla base di una serie di input riclassificati e organizzati autonomamente, in base a successive previsioni. Un investimento che non guarda solo ai costi ma anche alla qualità del lavoro.
Degne di nota sono le società americane LegalZoom e RocketLawyer, che forniscono supporto legale soprattutto nella redazione di contratti, testamenti etc., a prezzi vantaggiosi e completamente online. Certamente le critiche non mancano e le problematiche in casi più tecnici sono note; ma queste due realtà hanno avuto quell’effetto disruptive nel mercato legale (ormai dal 2001) che l’IA porta con sé nel suo continuo sviluppo.
Ci sono poi nuovi strumenti open source, come Docracy che forniscono alle piccole imprese o persone fisiche, un database (aperto appunto) da cui attingere dati e draft per i comuni contratti di locazione, distribuzione o più tecnici come contratti di pubblicità o prestiti. Sia ben chiaro, questi strumenti non sostituiscono un avvocato, ma per attività prive di valore aggiunto e a basso rischio rappresentano delle soluzioni ottimali; soprattutto per le PMI che abbiano al loro interno sì un legale, ma che da solo non riuscirebbe a sopportare il carico di lavoro e al tempo stesso non possa esternalizzare i servizi perché economicamente insostenibili.
I benefici dell’AI nel settore legale
Al momento è possibile tripartire i benefici concreti e attuali della AI nel settore legale, come segue:
- Ricerche legali e due diligence più veloci, meno costose e più accurate, almeno durante una prima fase;
- Review della documentazione legale;
- Visione predittiva dei risultati di azioni legali giudiziali e stragiudiziali.
Al contrario, le difficoltà maggiori per il business dell’intelligenza artificiale applicata al settore legale sono essenzialmente due. La prima è strettamente legata alla lingua e al linguaggio giuridico. Quest’ultimo è per sua stessa natura un linguaggio tecnico e il passaggio d’utilizzo ad altre lingue può comportare delle complicanze. Inoltre, un potenziale sviluppo in lingua italiana avrebbe una platea di clients ristretta per chiare problematiche glottologiche, ovvero abissali rispetto ai numeri dei paesi e mercati anglofoni. La seconda è che, al contrario di quanto si pensi, l’AI non è ancora in una fase avanzata di sviluppo. Nel senso che, allo stato attuale, lo sviluppo della AI permette lo svolgimento di compiti ben definiti e quasi completamente distaccati tra loro a seconda del settore d’applicazione. Comportandosi come se, sul piano umano, un giocatore di scacchi non fosse in grado di leggere una semplice mail e distinguerne i caratteri, ma solo giocare una partita.
La combinazione di questi due fattori rendono lo sviluppo dell’AI per il settore legale, almeno in Italia, un settore ancora da scalare con le sue opportunità e i suoi rischi.
I casi italiani di applicazione dell’AI al settore legale
Tuttavia i casi italiani di applicazione dell’AI ai servizi legali non mancano. Il caso del software di Decision Analysis di Herbert Smith Freehills ne è l’esempio. Si tratta di un software in grado di aiutare i legali della law firm nel valutare il rischio legale delle controversie, e meglio supportare i clienti attraverso un prospetto delle conseguenze finanziarie, bilanciamento dei rischi/opportunità e una maggiore consapevolezza nella fase di decision making.
Questo ultimo esempio mostra uno sviluppo interno di uno strumento che andrà poi ad affiancare il lavoro della law firm. In altri casi, invece, esistono delle partnership con legal tech company o società software esterne, al fine di sviluppare e utilizzare un tools nuovo. Possiamo citare il caso Portolano Cavallo e Luminance Ltd, la collaborazione che ha permesso alla law firm Portolano Cavallo di utilizzare al meglio il software Luminance, al fine di svolgere la revisione della documentazione legale durante le due diligence. Questo strumento, attraverso un complesso sistema di intelligenza artificiale di tipo machine learning, può riconoscere di volta in volta il significato semantico del contesto e linguaggio giuridico dei documenti.
Da segnalare l’utilizzo dell’AI nella fase di compliance, soprattutto nel settore tax da parte di Deloitte e PwC. Vantaggio che si sostanzia nella posizione di supremazia quantitativa e di organico rispetto agli altri studi italiani poiché, facendo parte dei rispettivi network internazionali, spesso devono riprendere un tools già sviluppato all’estero e “solo” riadattarlo al mercato italiano.
In conclusione, l’utilizzo dell’AI, sia con il machine learning o il deep learning, offre in Italia ampio margine di crescita, nonostante le difficoltà non solo economiche del nostro Paese. In effetti sembra essere più un problema culturale, dato che, mentre alcune realtà estere, come Allen&Overy, mettono a disposizione dei collaboratori un arco temporale durante il quale progettare soluzioni innovative, in Italia per la maggior parte ci si impegna ancora a tenere buona parte dei collaboratori incollati allo schermo del pc per almeno 8/12 ore al giorno, rendendoli così più degli impiegati che dei professionisti.
Nessuna innovazione di processo (anche legata all’AI) sarà possibile nelle law firm italiane senza un cambio radicale di approccio al mondo del lavoro e alla gestione delle risorse umane. Dunque il lavoro maggiore andrà fatto su quelle persone e quei colleghi che, con le loro storie e le loro personali esperienze, se messi in condizioni di “contaminarsi” tra loro potranno, grazie alla creatività innata in ognuno di loro, creare nuovo valore aggiunto per il proprio contesto lavorativo.