L’AI nelle aziende italiane: c’è consapevolezza, servono competenze e il giusto approccio

Occorre evitare di riutilizzare lo stesso modello per diversi contesti; da un addestramento di un modello con dati scelti in modo non ottimale possono sorgere problemi

Pubblicato il 07 Set 2020

Paolo Dotti

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intelligenza artificiale

Come viene vista la diffusione nelle aziende italiane dell’intelligenza artificiale, cosa si aspetta la classe dirigenziale dai modelli basati sugli algoritmi di Machine Learning? Parliamo del potenziale delle aziende italiane e degli ostacoli alla tecnologia; in cosa ci si può imbattere riutilizzando lo stesso modello per diversi contesti e quali problemi possono sorgere da un addestramento di un modello con dati scelti in modo non ottimale.

L’AI nelle aziende italiane, alcuni indicatori

Molti sono gli articoli pubblicati sull’intelligenza artificiale (AI) nelle aziende, in primis su questo stesso network una introduzione esaustiva che copre moltissimi aspetti e offre molti spunti per gli approfondimenti e come l’AI può aiutare le aziende. In altri articoli si sottolinea la necessità di pianificare l’uso strategico di AI nella strategia di business e la necessità di sviluppare una cultura dell’AI entro il prossimo anno. Un articolo de “IlSole24ore” evidenzia che ormai l’AI in Italia non fa paura e molte aziende si stanno adeguando a questa tecnologia.

Anche l’Osservatorio del Politecnico di Milano informa su quanto hanno compreso e cosa si aspettano le aziende dall’AI; più della metà ha indicato la “capacità dei sistemi di intelligenza artificiale di emulare i processi cognitivi dell’essere umano”, altre aziende hanno segnalato come elementi distintivi dell’AI un insieme di tecniche come il Machine Learning, altre ancora ritengono invece che l’AI si caratterizzi per lo sviluppo di “sistemi dotati di capacità tipiche dell’essere umano”.

Un’analisi di IBM evidenzia come l’uso AI sia maggiormente diffuso in aziende con più di mille dipendenti e che uno dei maggiori ostacoli all’adozione di queste tecnologie è la mancanza di conoscenze, competenze e strumenti.

Da quello che emerge dai link citati e dai sondaggi è che spesso si pensa che AI significhi un insieme di soluzioni in grado di sostituire l’intelligenza umana mentre la realtà è che questa concezione ha poco a che fare con i risvolti pratici della tecnologia.

L’Italia ha una strategia per l’intelligenza artificiale e il Ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato un documento il 2 luglio 2020 come base della strategia all’interno del Piano Coordinato Europeo. Lungi dal voler competere con questo documento, delineiamo di seguito alcuni aspetti più pratici che sono la base del successo per una strategia di inserimento in azienda e di utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Dati e patrimonio informativo

In ogni azienda che voglia sfruttare l’AI in qualsiasi modalità suggerita nei link precedenti o anche altri modi, la prima cosa da fare è prendere coscienza del proprio patrimonio informativo ricordando che qualsiasi informazione memorizzata può far parte dei dati grezzi su cui costruire una strategia. Anche le sole informazioni sui clienti e sulla fatturazione, purché memorizzati in formato digitale e disponibili, sono dati che possono essere strutturati in moda da poter eseguire successive estrazioni e aggregazioni; il primo scopo è estrarre informazioni sullo stato dell’azienda e successivamente determinare possibili strategie che incrementino sia il posizionamento nel mercato sia il senso di benessere dei dipendenti sia il supporto e la fidelizzazione dei clienti.

Qualcuno potrebbe pensare di non aver dati o di non averne a sufficienza, ma è bene sapere che il web è una fonte pressoché inesauribile a cui con un piccolo sforzo è possibile attingere. L’insieme dei dati a disposizione e di quelli che si aggiungono con opportune ricerche deve essere lavorato con opportune metodologie.

Metodologie e algoritmi

Un altro requisito per il successo è avere una metodologia e utilizzare i giusti algoritmi. Un argomento tanto semplice da dire quanto difficile da realizzare. Nelle metodologie ricadono anche le normali attività lavorative, i processi di business che devono essere riorganizzati perché l’intera azienda possa essere gestita totalmente in modo digitale ed essere integrata in un ecosistema che è l’Industria 4.0; la base dati aziendale deve essere strutturata secondo i moderni paradigmi di gestione dati alla luce anche del regolamento europeo GDPR e della legislazione sulla privacy.

Anche senza essere primi produttori di Big Data è opportuno disporre degli strumenti per accedere a infrastrutture che permettano di usufruire dei Big Data, quindi sia di software adatto che di algoritmi per operazioni di apprendimento su tali dati. L’AI ha alla sua base i metodi statistici di apprendimento costituiti da algoritmi che si applicano a problemi di classificazione o categorizzazione e di regressione; il nome più diffuso sotto cui sono raggruppati è Machine Learning e in caso di reti neurali Deep Learning. Per loro natura, essendo metodi statistici, hanno bisogno di lavorare su grandi quantità di dati e producono dei risultati con diversi valori di precisione e di accuratezza. Con un approccio poco scientifico si può incorrere in situazioni di scarsa produttività e scarsa efficacia come evidenziano le note seguenti:

  • Modelli che rappresentano male la realtà aziendale e hanno un’alta percentuale di errore; si può trattare di underfitting, una situazione in cui la quantità e qualità dei dati utilizzati per il training del modello supervisionato è scarsa, il modello risulta troppo semplice e non riesce a fare previsioni valide a causa di alto errore. In questo caso si valutano modelli alternativi o più complessi, un maggior numero di epoche di addestramento, un miglior campione di dati o una combinazione delle cose. In genere questa problematica è facilmente risolvibile.
  • Modelli che sono troppo aderenti ai dati di addestramento; in questo caso il modello potrebbe essere troppo complesso, si parla di overfitting. Per trovare la migliore aderenza del modello alla realtà si aumenta la complessità a tal punto che su dati diversi da quelli di addestramento il modello produce risultati con alto errore. Questo problema è di natura più difficile da risolvere rispetto al precedente; si può semplificare il modello, cambiare la quantità e la qualità del campione di addestramento, variare la velocità di apprendimento o una combinazione delle cose.
  • La messa a punto di un modello richiede tempo e spesso diverse fasi di addestramento e test per ottimizzare la percentuale di errore. La condizione ottimale che viene ricercata in un modello supervisionato è che l’errore quadratico medio (MSE) sia il più piccolo possibile sia nel training set (dati di addestramento) sia nel test set (dati di test). In genere accade che il MSE sul training set diminuisce continuamente mentre quello sul test set raggiunge un valore minimo e poi ricomincia ad aumentare; così si ottiene la situazione ottimale a cui fermarsi con “l’affinamento” del modello.
  • Un modello che produce risultati buoni e da previsioni corrette per un contesto potrebbe non essere adatto ad altri contesti lavorativi nonostante la somiglianza della situazione. Il tentativo di risparmiare utilizzando ciecamente lo stesso modello previsionale perché funziona bene senza rifare un’analisi dei dati e una procedura di ottimizzazione, porterà prima o poi a un fallimento.
  • Qualsiasi modello di AI, per la sua natura statistica, deve avere una percentuale di imprecisione. Il rincorrere un modello perfetto con il 100% di accuratezza sarebbe un grosso errore e porterebbe alle situazioni sopra descritte; non è una condizione realizzabile ne con algoritmi di Machine Learning ne con Deep Learning.
  • Come in tutte le tecnologie in rapido sviluppo si verificano casi non previsti da approfondire ma soprattutto vengono architettati sistemi in grado di ingannare i modelli di apprendimento automatico, parliamo di Adversarial Learning.

Le competenze in AI delle aziende italiane

Abbiamo visto che non è tutto semplice come sembra, non esistono le ricette già pronte ma è necessario diffondere la conoscenza ai dipendenti in azienda, eventualmente acquistarla come servizio rivolgendosi agli esperti. Per introdurre e utilizzare l’AI in un’azienda serve una base di conoscenza sull’argomento e lo sviluppo di competenze specifiche in materia anche nel caso ci si affidi a servizi di consulenza esterna. Una minima conoscenza implica che si conosca l’ambito di intervento dell’AI, gli algoritmi su cui è basata ovvero cosa sono Machine Learning e come sono suddivisi gli algoritmi, Deep Learning e le varie tipologie di rete neurale. Da non trascurare un minimo di competenze matematiche per la comprensione degli algoritmi e dei loro punti di forza o di debolezza per chi intende sviluppare soluzioni proprie.

Conclusioni

In Italia si sta facendo molto a livello governativo per favorire l’introduzione dell’AI nelle aziende, sia come utilizzo sia come sviluppo di tecnologie. Il MISE ha pubblicato con l’aiuto di una commissione di esperti un documento di proposta per una strategia italiana. C’è la volontà di incrementare le competenze in questo campo iniziando dalla scuola, perché la cultura dell’intelligenza artificiale sia nel bagaglio di ognuno. Per il momento le aziende italiane che ancora non hanno usufruito o che pensano di introdurre metodologie di AI in azienda devono essere consapevoli che:

  • questa tecnologia non sostituisce l’intelligenza naturale e il lavoro umano
  • ci sono delle metodologie da rispettare per non rischiare di abbandonare i progetti in corsa perché i risultati si fanno attendere
  • ci vogliono delle competenze interne all’azienda sia informatiche sia matematiche
  • lo sviluppo di modelli funzionanti richiede tempo per l’ottimizzazione
  • l’azienda deve memorizzare e considerare patrimonio i propri dati e in caso di necessità attingere a fonti esterne
  • bisogna favorire lo sviluppo generale di una cultura dell’intelligenza artificiale a acquisire consapevolezza delle sue potenzialità all’interno dell’azienda
  • l’AI non è l’unica tecnologia in espansione, ma è interconnessa ad altre da non trascurare come big data, cloud services, blockchain, cybersecurity.

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