L’attuale situazione di IBM e le sue ultime scelte economico-gestionali possono costituire un case study molto interessante e ricco di implicazioni in relazione alle strategie più redditizie e più efficienti che le imprese che operano nel settore dell’informatica avanzata devono seguire. Nel 2005, infatti, IBM decide di uscire dal mercato dei personal computer, ceduto ai cinesi di Lenovo, per dedicarsi all’Information Technology e allo sviluppo di super computer. Un anno dopo viene lanciato un innovativo programma chiamato Watson, il cui nome non si ispirava al celebre collaboratore di Sherlock Holmes, ma era stato dato per onorare il primo del fondatore del marchio, Thomas Watson. Watson è un Question answering computing system, cioè un computer che utilizzando un’intelligenza artificiale è in grado di rispondere direttamente a delle domande fatte dall’uomo. Il progenitore di questa classe di computer divenne famoso perché nel 2010 riuscì a battere i concorrenti di un programma di quiz. Nel 2013 fu testato Watson Health che doveva essere un computer in grado di dare delle risposte mediche avanzate, pensato per essere utilizzato nella sanità; con questa applicazione, IBM è riuscita lo scorso anno a realizzare un miliardo di dollari di fatturato, nonostante ciò il progetto non ha avuto il successo sperato.
Gli anni dal 2013 al 2020 e l’applicazione dell’AI alla sanità
La situazione economica di IBM, infatti, non è stata particolarmente florida negli ultimi tre anni. Il fatturato è diminuito di circa l’8% tra il 2018 e il 2020 e di più del 25% rispetto al 2010, attestandosi su circa 73 miliardi di dollari. Il margine operativo lordo è crollato di quasi il 25% tra il 2018 e il 2020 e utile è diminuito di più del 40% nello stesso periodo. Quindi alla fine del 2020 IBM ha dovuto affrontare una nuova ristrutturazione e ha deciso di scorporare le attività di Information Technology che valevano circa 20 miliardi di dollari di fatturato. IBM ha scelto, quindi, di concentrarsi sul suo core business, dismettendo quei settori che erano meno redditizi. Nell’ambito di questa ristrutturazione aziendale si è deciso di scorporare anche Watson Health.
Il percorso storico dell’organizzazione aziendale di IBM è molto importante da studiare, perché mette in evidenza alcuni aspetti che ci permettono di comprendere alcuni errori che devono essere evitati nella gestione delle tecnologie avanzate e nell’applicazione dell’AI alla sanità.
La prima considerazione che appare opportuno fare è che alcune applicazioni, come quelle dei Question answering computing system, sono in prospettiva poco attrattive dal punto di vista commerciale, a maggior ragione se applicate alla sanità.
È abbastanza ovvio che l’idea di interagire con la voce con un computer o con un androide è stato sempre il sogno segreto di tutti gli sviluppatori di programmi e di tutti i costruttori di hardware. Nel campo medico l’idea di sviluppare un’intelligenza artificiale che rispondesse vocalmente alle domande scientifiche poste, come faceva l’ologramma medico in Star Trek, può sembrare affascinante. Ma quando abbandoniamo la fantascienza e torniamo nella realtà ci accorgiamo che l’interazione vocale con il computer o con l’algoritmo può essere veramente utile solo in pochi casi limitati.
Il caso della gestione delle disabilità è uno di questi, ma nella maggior parte dei casi questo eccesso di tecnologia si rivela un inutile spreco, perché impegna risorse di calcolo per la gestione dell’interfaccia vocale e perché il livello di efficienza e di efficacia del comando vocale non è sempre ottimale.
Nel settore sanitario, poi, l’accesso e la gestione dei dati dei pazienti risulta estremamente complessa. L’AI per funzionare ha bisogno di una grandissima quantità di dati sanitari che è difficile reperire ed è difficile e oneroso conservare, anche per la mancanza di standard predefiniti per la raccolta e lo storage. Per “nutrire” il nostro algoritmo dobbiamo impiegare, quindi, ingenti risorse.
IBM Watson Health: le capacità tecnologiche degli algoritmi di AI sono ancora limitate
Ma è anche il tipo di utilizzo sanitario di questa interfaccia medica vocale che manifesta molti limiti. Watson Health nasceva con la pretesa di riuscire a dare una risposta in termini di cure a tutti i principali problemi medici e, in particolare, doveva essere in grado di fornire un supporto in campo oncologico.
Le capacità tecnologiche degli algoritmi di intelligenza artificiale non sono oggi ancora in grado di ottenere un livello di efficienza nelle risposte tale da poter sostituire un medico in carne e ossa. Ed è questo il motivo dello scarso successo di Watson Health che doveva essere un servizio innovativo, ma che, in realtà, aveva un livello di funzionamento che lo poneva al di sotto delle aspettative.
Nel campo medico l’intelligenza artificiale può essere applicata a numerosi problemi con risultati migliori di quelli umani. Nella diagnostica per immagini, nella previsione di esiti, nella simulazione della dinamica di una epidemia, nello screening di massa e nella telemedicina, nell’analisi di diversi utilizzi terapeutici per i farmaci esistenti, in particolari applicazioni per la produzione di vaccini, ma non possono oggi sostituire un medico in carne e ossa nella cura del paziente. Le applicazioni di AI in sanità devono, quindi, essere supervisionate dall’uomo e, pertanto, queste tecnologie, ben lungi da essere sistemi di decisione autonomi, sono piuttosto dei supporti alle decisioni che devono essere prese dal personale sanitario.
IBM Watson Health, la tecnologia deve essere più utile che innovativa
Se, poi, nel campo della ricerca avanzata si devono cercare e studiare le soluzioni avveniristiche, nell’utilizzo commerciale delle scoperte e delle invenzioni si deve fare riferimento a un concetto di tecnologia utile, prima ancora che di tecnologia innovativa.
Il caso IBM Watson Health dimostra come esista oggi un divario fra avanzamenti nella ricerca e applicazioni commerciali nel campo dell’intelligenza artificiale.
Un progetto ambizioso e visionario dal punto di vista scientifico, si è rivelato di scarso successo commerciale. Questo non significa che non bisogna fare ricerca avanzata, ma piuttosto che bisogna separare gli ambiti della ricerca avanzata da quelli delle applicazioni commerciali, perché le ricerche di oggi daranno origine a scoperte ed invenzioni che potremo tradurre anche dopo molti anni in prodotti commerciali e sono, quindi, un investimento da sostenere. La tecnologia utile è quella che rivolve problemi reali in maniera efficiente ed è quella che deve essere legata alle applicazioni commerciali e che può tradursi in un aumento anche sostanziale degli utili di bilancio dell’impresa.
La scelta strategica di puntare sui Question answering computing system si è rivelata poco efficiente dal punto di vista aziendale per IBM, ma il know-how sviluppato costituisce un valore che probabilmente produrrà i suoi effetti fra dieci o quindici anni in termini di sviluppo commerciale di nuovi prodotti. Voler sfruttare commercialmente prodotti di ricerca avanzata è un’operazione complessa e quasi mai redditizia nel breve periodo.
Breve storia di IBM
IBM non è una società nata nel XXI secolo come tante startup del settore. È nata quasi 150 anni fa e come primo obiettivo ebbe la produzione delle macchine tabulatrici, che erano delle lontane antenate dei nostri computer e che funzionavano mediante l’inserimento di schede perforate che erano il device su cui venivano immagazzinate le informazioni. Il primo nome di questa società fu Computing Tabulating Recording (CTR), e solo nel 1924, quando era amministratore delegato Thomas Watson, cambiò nome in International Business Machine (IBM). IBM divenne poi durante la cosiddetta terza rivoluzione industriale, a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, un leader tecnologico con i suoi computer che venivano additati come sinonimo di qualità e di prestazioni.
Tuttavia, l’impresa sull’onda del successo divenne troppo grande ed elefantiaca con circa 400mila dipendenti e attraversò nella seconda metà degli anni ’80 una prima crisi economica che ebbe come conseguenza una grande ristrutturazione aziendale attraverso la quale, però, si riuscì dopo qualche anno a riportare in utile l’impresa. Fino alla decisione, negli anni Duemila, di uscire dal mercato dei pc.