Un gruppo di lavoro del MISE, composto da esperti di alto livello in ambito intelligenza artificiale, è stato chiamato a redigere una strategia italiana per l’AI. Il compito è particolarmente complesso se consideriamo il ruolo attualmente marginale del nostro paese nello sviluppo di tecnologie di apprendimento automatico e computer vision. Nel documento disponibile a questo link gli esperti auspicano, forse in uno slancio di eccessivo ottimismo, un nuovo rinascimento reso possibile dall’AI.
Strategia italiana: le aree considerate
L’Unione Europea ha già capito da tempo che per dare un impulso allo sviluppo di tecnologie di AI è necessario prima dare una direzione precisa ad aziende e ricercatori. Regolamenti e organi di controllo sono la base su cui fondare la ricerca. Il progresso dell’AI porta con sé tutta una serie di implicazioni etiche e morali che ne potrebbero rallentare l’applicazione in scenari pratici. L’interpretazione della realtà che l’AI è in grado di fare si basa interamente sui dati che ha a disposizione nella fase di “training”. Imparare a decodificare il mondo basandosi su informazioni insufficienti o viziate da bias dà vita a sistemi autonomi che sono affetti da bias. Spingere la ricerca e creare un framework di regolamentazione richiede ingenti investimenti. Per il prossimo bilancio dell’UE è stato proposto un investimento di almeno 2,5 miliardi di euro. Sulla scia di questi provvedimenti, gli esperti del MISE propongono una strategia italiana che consenta al paese di poter contribuire significativamente a questo sviluppo, con investimenti che mirano ad acquisire risorse materiali e formare risorse umane.
Le aree considerate di importanza vitale per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sono:
- IOT, manifattura e robotica
- Servizi, sanità e finanza
- Trasporti, agrifood, energia
- Aerospazio e difesa
- Pubblica amministrazione
- Cultura creatività e digital humanities.
Questa suddivisione appare redatta con una certa superficialità. Per valorizzare le risorse investite bisogna offrire scenari di sviluppo e applicazione più chiari e verticali. Immaginare ad esempio una pubblica amministrazione dotata di strumenti di AI è al momento anacronistico se non utopico. Altre categorie proposte sono invece troppo generiche (vedi “Servizi”) o poco strategicamente mescolate (vedi “Trasporti e Agrifood”). Con obiettivi così astratti è difficile immaginare un piano di investimenti mirati che possa davvero essere efficace.
Formazione e ricerca
Oltre che alla mera tecnologia, secondo gli esperti interpellati dal MISE, gli investimenti saranno anche orientati allo sviluppo della filosofia di sfruttamento dei sistemi di intelligenza artificiale. In questo contesto la formazione gioca un ruolo fondamentale, perché la bontà di una AI è influenzata quasi esclusivamente dalla figura che l’ha progettata e dalla figura che la utilizza. La ricerca dev’essere orientata alla creazione di strumenti che non siano solo efficienti ma anche etici, sostenibili e inclusivi. Tecnologie a misura d’uomo che badino non solo alla produttività ma anche alla qualità dei risultati da un punto di vista antropologico e sociale. A tal proposito gli esperti sottolineano la necessità di elaborare una strategia nazionale volta a favorire un approccio accademico votato all’etica e alla sicurezza dei sistemi.
Conclusioni: una strategia che manca di specificità
Le raccomandazioni proposte dagli esperti nel Programma strategico prevedono un approccio olistico e un ruolo forte, coordinato ed efficace delle istituzioni, ma in molti casi peccano di superficialità. La prima raccomandazione dichiara “L’Italia deve farsi portavoce a livello europeo e globale di un approccio responsabile all’intelligenza artificiale”. La domanda che sorge è: l’Italia ha le risorse che servono per farlo? Con tutta probabilità, al momento no. Teniamo in considerazione che la redazione del report che stiamo considerando e tutt’altro che illuminata. Il documento strategico nazionale per lo sviluppo dell’AI ha dato vita a dibattiti per lo più astratti, mescolando concetti legati alla blockchain e agli smart contract con gli automatismi dell’intelligenza artificiale, e paventando uno sviluppo “made in Italy” del mercato del lavoro che è lontano dalla realtà. Il calderone che ne viene fuori è tutt’altro che chiaro, il rischio è sempre il medesimo: se le strategie mancano di specificità anche le scelte sugli investimenti che ne derivano non potranno essere mirati.