Se dieci anni fa il software iniziava a divorare il mondo, oggi il mondo può nutrirsi di software. Prendendo spunto dal famoso articolo di Marc Andreessen ‘Why software is eating the world’, pubblicato sul Wall Street Journal il 20 agosto 2011, anche le aziende più tradizionali italiane possono pianificare la propria crescita con le tecnologie più avanzate. Le scelte tecnologiche si dovrebbero basare consapevolmente non solo sulle esigenze fisiologiche di ciascuna azienda, ma anche sulle ambizioni di business oltre la bottom line. Dall’intelligenza artificiale, all’interazione macchina-persona, alle piattaforme, l’impatto della tecnologia va ben oltre quello di un’azienda: tocca il benessere della nostra società e la sostenibilità del nostro pianeta!
Un articolo profetico
Dieci anni fa Marc Andreessen, tra i primi software engineer e imprenditori del web (coautore di Mosaic, il primo web browser, e fondatore di Netscape) diventato poi uno dei più famosi venture capitalist della Silicon Valley, scriveva che l’emergente popolarità delle aziende tecnologiche non costituiva una bolla. Tutt’altro: riteneva che sia Apple che Google fossero sottovalutate da un mercato che non amava la tecnologia. Quella tecnologia necessaria per trasformare le industrie più tradizionali attraverso il software non solo esisteva già, ma iniziava a essere accessibile su larga scala a livello globale. Non si riferiva solo ai microprocessori e a Internet su banda larga, ma anche a tutti quei tool di programmazione software e servizi Internet che eliminano quasi del tutto i costi di infrastruttura e permettono di lanciare sempre più facilmente nuove start-up alimentate da software. L’esempio più eclatante di allora era Amazon, che mettendo i libri online annientò Borders, la più grande catena di librerie al mondo, e di fatto nel tempo è divenuta marketplace globale di qualunque tipo di prodotto.
Cosa resta delle aziende disrupted?
A dieci anni dall’articolo molte, se non tutte, delle previsioni di Andreessen, si sono avverate. Dallo smartphone, ormai estensione più che fisica del corpo umano, alla presenza di aziende che per prosperare nei rispettivi settori hanno investito pesantemente nel software e utilizzato strategicamente la leva della trasformazione digitale per acquisire vantaggi competitivi di lungo periodo, trasformandosi quasi in software company. Andreessen aveva inoltre predetto che i disruptors, ovvero le aziende che hanno fatto leva sul software per guadagnare quote di mercato a spese di quelle aziende che non hanno colto l’onda del cambiamento, avrebbero sicuramente dovuto affrontare sfide non indifferenti: dalle condizioni economiche globali non favorevoli quanto quelle degli anni ‘90, alla guerra dei talenti, per non parlare della difesa del loro crescente valore azionario. Possiamo quindi affermare che il software ha divorato il mondo? Cosa resta nel piatto delle aziende disrupted, se così fosse? Oppure c’è una visione alternativa? Può oggi il software nutrire il mondo, incluse le aziende più tradizionali?
Il software può nutrire il mondo, ma le scelte tecnologiche devono essere consapevoli
Lasciamo le valutazioni aziendali agli analisti di mercato, ma da azienda profondamente radicata nella tecnologia, riteniamo sia opportuno offrire una visione che permetta di mettere a fuoco i trend emergenti dal punto di vista di tutte le aziende, distruptors e non, qualunque sia la loro personale impronta digitale. In parole povere, rimanendo sul tema lanciato da Andreessen dieci anni fa, cosa si mette sul piatto e di cosa ci si nutre è una scelta consapevole che può essere generata da una crescente educazione anche quando si parla di software e tecnologia. Esistono ormai una vasta gamma di soluzioni tecnologiche la cui accessibilità e “valore nutrizionale” è in continua crescita. La chiave, secondo noi, sta proprio nel bilanciare la dieta non solo sulle esigenze fisiologiche di ciascun’azienda, ma anche sulle ambizioni di business. Nell’era della sovra e mala informazione, tuttavia, non è facile distinguere le promesse dalle scommesse. Per questo, già conosciuti per il Tech Radar (una guida sulle frontiere tecnologiche fatta da tecnologi per tecnologi), abbiamo deciso di introdurre una nuova pubblicazione annuale Looking Glass, recensendo tutto ciò che c’è di nuovo e promettente in ambito tecnologico, ma in ottica aziendale.
Collaborare con l’intelligenza artificiale
Partiamo dall’intelligenza artificiale (AI) e dall’offerta di soluzioni di machine learning (ML). Il nostro punto di vista è che le tecnologie d’avanguardia in questo campo vanno viste in ottica di collaborazione. Per la maggior parte delle imprese, l’automazione può migliorare la produttività della forza lavoro, automatizzando i compiti ripetitivi, banali e di elaborazione dei dati. Questo può cambiare radicalmente o persino eliminare la necessità di alcuni lavori, ma allo stesso tempo può crearne di nuovi, orientati ad attività di valore più elevato che richiedono conoscenze specifiche e creatività. Le aree tipiche che possono beneficiare dell’automazione includono la determinazione dinamica dei prezzi, il rilevamento delle anomalie e l’ottimizzazione della supply chain.
Ma crediamo anche che le persone possano beneficiare dell’AI/ML in modalità aumentata, mettendo umani e macchine fianco a fianco a svolgere ruoli combinati o complementari. Si tratta di situazioni che richiedono creatività, intuizione, esperienza ed un approccio olistico per prendere le decisioni importanti più strategiche come: ‘Quale nuovo prodotto introdurre nel mercato’ oppure ‘Come azzerare le emissioni’. Entro il 2023 con la creatività computazionale, le aziende italiane nelle industrie più creative potranno, se vogliono, dimostrare al mondo che l’AI non è l’arte di estrarre valore dalla storicità dei dati, ma l’arte di creare nuovi dati e nuovi spunti per lo sviluppo di prodotti italiani ancora più amati.
Trend
- Una continua ondata di investimenti nella ricerca e nelle applicazioni dell’AI: la società di ricerca IDC stima che il mercato mondiale dell’AI supererà i 500 miliardi di dollari entro il 2024.
- Continua la forte domanda di specialisti di ML, AI e dati nel mercato del lavoro. Secondo LinkedIn, lo specialista di intelligenza artificiale è stata la categoria di lavoro in più rapida crescita nel 2020, mentre Glassdoor ha classificato il data scientist come il secondo miglior lavoro negli Stati Uniti nel 2021.
- Aumento della crescita delle start-up ML/AI, dei prodotti specializzati, delle IPO e delle acquisizioni. Nell’ottobre 2021, Exscientia – una società britannica che ha inserito i primi tre farmaci al mondo progettati dall’intelligenza artificiale nella fase uno dei test umani – è stata quotata al NASDAQ con una valutazione di 3 miliardi di dollari.
- Cambiamenti nei lavori e nei ruoli esistenti. Il World Economic Forum stima che entro il 2025, 85 milioni di posti di lavoro potrebbero essere spostati da una trasformazione della divisione del lavoro tra esseri umani e macchine, mentre potrebbero emergere 97 milioni di nuovi posti.
- Maggiore consapevolezza pubblica delle situazioni in cui l’AI ha avuto conseguenze indesiderate. Ad esempio, il riconoscimento facciale è stato ripetutamente nelle notizie a causa di problemi di privacy e il pregiudizio razziale è stato trovato nell’intelligenza artificiale delle immagini di Twitter. Nonostante ciò, ci sono preoccupazioni che la progettazione etica dell’AI non sarà la norma entro il prossimo decennio.
Evolvere l’interazione tra macchine e persone
Non può essere sfuggito a nessuno che la nostra interazione con il mondo digitale è cambiata drammaticamente negli ultimi anni. Eppure, il concetto di metaverso è ancora poco capito. Si tratta di un nuovo canale di vendita e di ricavi pubblicitari oppure di altro, di customer experience? Le interfacce digitali continuano a evolversi includendo i gesti, la voce e il tatto – coinvolgendo tutti i sensi. I dispositivi che usiamo quotidianamente sono sempre più di uso comune e offrono combinazioni sempre più ricche di software e hardware. È evidente che le persone abbiano aspettative crescenti rispetto alle interazioni e che quindi non è più una dicotomia di forma e funzione: i dispositivi, così come i prodotti e i servizi digitali, oggi devono avere un bell’aspetto, devono essere funzionali, capire le nostre emozioni e devono sintonizzarsi sulle nostre esigenze. Fornire un servizio di questo tipo è un gioco da ragazzi, farlo bene diventerà differenziante. Entro il 2023, vedremo nel mondo della Sanità italiana, un maggiore numero di soluzioni tecnologiche che si orienteranno verso la promozione della salute piuttosto che la cura, partendo proprio dalla telemedicina.
Realizzare il potenziale delle piattaforme
Da anni diciamo che la chiave di una moderna strategia di business sta nella realizzazione di “piattaforme”, termine con cui si intende sia in senso stretto la creazione di API (Application Programming Interfaces) per consentire a business partner di interagire con i processi aziendali, sia in senso lato, un modello di business basato sulla facilitazione di interazioni fra consumatori, partner e fornitori di servizi, in cui tutti i partecipanti beneficiano di un effetto volano man mano che la piattaforma cresce. Allo stesso tempo è evidente che molte di queste iniziative non hanno prodotto i risultati attesi, spesso a fronte di investimenti faraonici.
Lo sviluppo software su scala globale è stato rivoluzionato, definendo approcci come DevOps, microservices e Infrastructure As Code. Sulla scorta di questa esperienza, raccomandiamo alle aziende un maggiore allineamento tra strategie tecnologiche e obiettivi di business. Inquadrata la finalità funzionale della piattaforma e quindi anche i consumatori chiave, si possono stabilire gli indicatori di successo da misurare e monitorare. Spesso vediamo che questo semplice concetto viene messo da parte, presi dall’entusiasmo e dalle promesse dell’ultimo tool o tecnologia emergente che sorprende il mercato. Entro il 2023, vediamo l’opportunità per aziende italiane che hanno esigenze in ambito big data, di adottare il data mesh, una nuova modalità di data platform socio-tecnologica decentralizzata che si fonda sull’idea di base di creare ‘data products’ che rispondano ai bisogni dei propri consumatori.
Evitare che il software abbia effetti indesiderati sulle persone
I recenti eventi hanno purtroppo riportato l’attenzione su come la sicurezza informatica sia fondamentale per evitare non solo attacchi alle nostre aziende, ma anche al pubblico, attacchi che sfruttano le applicazioni aziendali come trampolino di lancio. Ma la sicurezza non è tutto: le aziende hanno la necessità di garantire che il proprio software agisca per il benessere di tutti; gli utenti devono sentirsi rassicurati sul fatto che i propri dati personali siano rispettati e protetti, che non verranno utilizzati per renderli vittime di pubblicità sgradite; che le piattaforme siano accessibili ai portatori di handicap motori o cognitivi; che gli algoritmi non manifestino pregiudizi che tendono a penalizzare o escludere segmenti di popolazione. Non è solamente materia di etica, ma di favorire la fiducia e, in definitiva, la salute dell’organizzazione. Entro il 2023, con i piani già messi in atto dal PNRR, l’Italia vedrà un salto quantico in materia di digitalizzazione per il Paese, pur garantendo i diritti fondamentali dellw persone in materia di privacy e sovranità dei dati di ognuno.
Accelerare verso la sostenibilità
La considerazione degli impatti ambientali è passata dall’essere facoltativa a un imperativo di business. Obiettivi di ESG (Environmental, Social, Corporate Governance) sono fortunatamente presenti in molti piani industriali. Tuttavia, in questo senso, la tecnologia presenterà sia sfide che opportunità quando verrà il momento di implementarli. Da una parte, la tecnologia è una delle principali fonti di cambiamento climatico e molte aziende tecnologiche stanno cercando di affrontare questo problema sia costruendo data center efficienti – dal punto di vista energetico – sia adottando fonti di energia rinnovabile, analizzando i loro fornitori e le catene di approvvigionamento, o sviluppando applicazioni che consumano meno sia nella loro creazione che nel loro funzionamento continuo. Dall’altra parte la tecnologia può anche aiutare a rendere la nostra vita quotidiana più sostenibile, per esempio quando si parla di smart city e di ottimizzazione del traffico per ridurre l’inquinamento. L’opportunità che vediamo è nell’esigenza intrinseca di molti individui di adottare uno stile di vita sempre più green. Ci aspettiamo cioè che sempre più persone prendano in considerazione la sostenibilità quando sceglieranno un marchio o un fornitore. Questo richiederà alle aziende di esaminare, a loro volta, i costi ambientali dei loro prodotti e delle proprie attività, e di adottare strategie e tecnologie più sostenibili. Entro il 2023 ci auguriamo che saranno anche le grandi istituzioni finanziarie italiane a seguire l’esempio di altre grandi aziende a diventare trend-setter globali per quanto riguarda l’adozione di green cloud e la riduzione del loro footprint digitale.
Conclusioni
Proprio in questi tempi, quando molte aziende globali e italiane hanno dimostrato il coraggio di prendere decisioni importanti oltre la bottom line, la tecnologia può offrire margini non indifferenti di affermazione o reinterpretazione del proprio business. Invitiamo le aziende a partire da quelle tecnologie i cui use-case sono già affermati (le tecnologie marcate come ‘Adopt’ nel Looking Glass) perché forse nei momenti più incerti vale la pena sperimentare. Quando l’unica costante è il cambiamento, preparatevi a stupirvi!