Come l’AI sta innovando il modo di fare arte – 2

Il contrastato rapporto fra intelligenza artificiale e arte visto attraverso la lente del filosofo americano Sean Dorrance Kelly. Dalla musica alla matematica, perché le macchine non possono essere considerate degli autori

Pubblicato il 07 Lug 2022

The Butcher’s Son (2018) Mario Klingemann ha usato due GAN, uno addestrato su un set di dati di pose umane e uno addestrato sulla pornografia, per rendere migliaia di immagini composite. Dopo aver valutato ciascuno per posa e dettaglio, ne ha scelto uno da perfezionare nel lavoro finito.

Sul concetto di creatività dell’intelligenza artificiale si è creato un dibattito piuttosto interessante. Se da un lato ci sono sostenitori e fautori di un’intelligenza artificiale creativa (ved. l’artista tedesco Mario Klingemann), d’altra parte ci sono ancora alcuni pensatori contrari nell’attribuire all’AI la facoltà creativa. In un articolo su MIT Technology Review, il filosofo di Harvard Sean Dorrance Kelly (2019) sostiene che la creatività sia una delle caratteristiche distintive dell’uomo e ha modo di esistere solo all’interno di un contesto umano.

AI creativa, il pensiero di Dorrance Kelly

AI creativa
Sean Dorrance Kelly

Per quanto esistano pensatori convinti che in un futuro molto prossimo il livello di intelligenza delle macchine sorpasserà quello umano, con algoritmi che saranno più istruiti rispetto alla media dell’uomo, il filosofo americano sostiene che gli artisti o i pensatori più creativi non verranno mai superati dall’intelligenza artificiale (Dorrance Kelly, 2019). E se mai dovesse succedere che venissero attribuite all’AI potenzialità creative maggiori di quelle umane, sostiene Dorrance Kelly, non vuol dire sarà così realmente, ma piuttosto che gli esseri umani decideranno di declassarsi rispetto all’AI, come, del resto, è più volte accaduto nel corso della storia quando l’uomo ha eretto totem materiali a divinità.

Dal momento che la creatività opera in aree sterminate, il filosofo di Harvard propone due interessanti esempi per sostenere il suo punto di vista, prendendo in considerazione la creatività declinata nell’ambito della musica e della matematica.

Partendo dall’esempio del compositore Arnold Schoenberg[1] che rivoluzionò il modo di fare la musica, Dorrance Kelly si domanda se sia concepibile, allo stato dell’arte, immaginare da parte di essa una tale abilità creativa da poter trasformare la musica. È chiaro che un algoritmo intelligente potrebbe creare un modo di fare musica del tutto nuovo e radicalmente diverso da quelli preesistenti, ma questo non significa poterlo paragonare all’opera di Schoenberg. Egli viene considerato un genio creativo perché non ha semplicemente inventato un nuovo modo di comporre musica, ma piuttosto perché, con la sua opera, ha fornito una visione del mondo del tutto nuova:

Schoenberg’s vision involved the spare, clean, efficient minimalism of modernity. His innovation was not just to find a new algorithm for composing music; it was to find a way of thinking about what music is that allows it to speak to what is needed now (Dorrance Kelly 2019)[2].

Senza voler ricercare un senso mistico della creatività musicale, l’intento del filosofo americano è quello di dimostrare che immaginare un nuovo modo di fare musica non significa solo ribaltare la metrica dei suoni. Schoenberg, con il suo metodo compositivo innovativo ha cambiato la concezione di intendere la musica (Dorrance Kelly 2019), introducendo nel rigido panorama musicale austriaco di inizio ‘900, le rivoluzioni culturali della Secessione viennese (Canzi 2010). La creatività di Schoenberg consistette quindi, nell’immergersi socialmente nel panorama artistico della sua epoca traendo da esso lo spirito avverso all’impostazione culturale tradizionale delle Accademie artistiche.

AI creativa
Arnold Schoenberg

Dorrance Kelly e la teoria dell’incidente creativo

Inoltre, la genialità creativa non risiede semplicemente nell’opera in sé. Un algoritmo intelligente, così come una scimmia (esempio del filosofo), se posti davanti a una macchina da scrivere, potrebbero anche comporre l’Otello, ma si tratterebbe solo di un incidente creativo (Dorrance Kelly 2019). Perché la creazione culturale consiste nell’introdurre una nuova visione del mondo e, per quanto sia sviluppata la tecnologia dell’AI, una macchina non è ancora dotata di quella facoltà intellettuale e sociale che le permette di produrre, intenzionalmente, nuove forme testuali capaci di condizionare la cultura umana. Ma pur avendo questo limite, ciò non significa che l’AI non possa essere utilizzata dall’uomo per sviluppare nuove forme creative. Anzi, essa è da considerarsi, secondo il filosofo, un valido strumento per amplificare e aiutare il genio creativo, proprio come una chitarra elettrica nelle mani di Jimmy Page (chitarrista dei Led Zeppelin, ndr): se quella chitarra produsse assoli memorabili, fu possibile grazie al contributo del chitarrista.

AI e matematica

Per quanto riguarda la matematica, vale lo stesso ragionamento. Sono celebri le scoperte e i teoremi ideati grazie all’utilizzo di calcolatori intelligenti. Ma essi da soli non hanno apportato nessun valore creativo a una particolare teoria: nella formulazione delle nuove conoscenze, gli algoritmi intelligenti si sono “limitati” nell’elaborazione di miliardi di calcoli e nella verifica di migliaia di casi e prove matematiche. Essere matematici creativi significa proporre nuove forme inaspettate di ragionamento logico e saper convincere gli altri colleghi della validità e del valore innovativo di esse. Un’AI che fornisca una soluzione intelligente di un problema matematico irrisolto è impressionante, “but nothing like Schoenberg[3]” (Dorrance Kelly 2019). E se anche una macchina intelligente dovesse mai proporre una teoria così innovativa e geniale che neanche i più brillanti matematici saranno in grado di comprendere, allora neanche questa opzione potrebbe permettere all’AI di essere considerata un genio matematico creativo, perché non sarebbe comprensibile da nessuno:

For this reason, mathematics is more like music than one might have thought. A machine could not surpass us massively in creativity because either its achievement would be understandable, in which case it would not massively surpass us, or it would not be understandable, in which case we could not count it as making any creative advance at all[4] (Dorrance Kelly 2019).

Le argomentazioni proposte da Dorrence Kelly, seppur valide, poggiano, da un lato, sulle stesse irrisolvibili problematiche relative all’applicazione del concetto di intelligenza umana a una macchina e dall’altro si limitano a disquisire su una rappresentazione della creatività prettamente filosofica: è vero che un genio creativo viene considerato tale quando introduce nella società una nuova prospettiva di concepire la cultura. Bisogna, però, considerare che per creatività non si intende, come visto nel paragrafo precedente, solo la facoltà che rende geniale un artista o un compositore. Il fattore creativo risiede anche nel processo di produzione di qualcosa di inesistente precedentemente oppure anche in una rivisitazione dell’esistente in una nuova forma innovativa.

L’arte creata dalle GAN

Nel mondo dell’arte, per esempio, si può parlare di creatività anche quando, partendo dall’osservazione di uno stile, si generano produzioni artistiche aumentando il potenziale artistico dello stile ma, allo stesso momento, deviando leggermente da esso. Ed è proprio questo processo creativo che si potrebbe applicare al caso dell’AI, ovvero la generazione di opere artistiche da parte di una macchina (o meglio di Reti Generative Avversarie – GAN) senza il coinvolgimento di un essere umano ma solo utilizzando prodotti umani nella fase iniziale di training e successivamente, lasciando libertà di azione alle GAN per la creazione di opere artistiche sulla base si quello che hanno imparato per poi discostarsi sempre di più. In questo caso, si potrebbe forse, più propriamente, concepire come creativo e originale il metodo e il sistema di produzione e non il prodotto: nella macchina intelligente non risiede né coscienza né conoscenza di quanto sta producendo: non si può, allo stato attuale della tecnologia, parlare di volontà creativa e intenzionale del computer.

Conclusioni

In conclusione, quindi, se è vero che si può parlare di intelligenza artificiale creativa, entro i limiti esposti nei paragrafi precedenti, è anche vero che nel momento dell’interpretazione di un’opera creata da una macchina non si può trovare in essa l’intentio auctoris relativa alla macchina stessa, ma magari la si può ricondurre al programmatore che ha voluto e reso possibile il lavoro creativo.

Note

  1. Arnold Schoenberg, (Vienna,1874 – Los Angeles 1951) fu un compositore austriaco-americano che creò nuovi metodi di composizione musicale, uscendo dalle regole della tonalità: teorizzò per la prima volta il metodo di composizione dodecafonico basato su una serialità di dodici suoni diversi, considerato tanto rivoluzionario che avrebbe assicurato “la supremazia della musica tedesca per i successivi 100 anni”. L’innovazione risiede nella possibilità di riprodurre questa serie di dodici non solo nella sua forma originale, ma anche invertita, oppure al contrario, dalla fine verso l’inizio o addirittura verticalmente ed essa può essere suonata, tutta o in parte, come melodia o simultaneamente come armonia: l’importante è che tutte le parti della composizione siano tratte dalla serie di 12 suoni. Grazie alla sua tecnica, Schoenberg compose quella che molti considerano la sua opera più grande, l’opera Moses und Aron (Kuiper 2015).
  2. Nel modo di fare musica di Schoenberg risiedeva il minimalismo essenziale, pulito ed efficiente della modernità. La sua innovazione non era solo quella di trovare un nuovo algoritmo per comporre musica; era trovare un modo di pensare a cosa fosse la musica, affinché potesse parlare di cosa fosse necessario al momento.
  3. Ma niente a che vedere con Schoenberg.
  4. Per questo motivo, la matematica è più simile alla musica di quanto si possa pensare. Una macchina non potrebbe superare l’essere umano nella creatività perché o il suo risultato sarebbe comprensibile, nel qual caso non ci sarebbe una grande innovazione creativa, oppure non sarebbe comprensibile, nel qual caso non potrebbe essere considerato come un progresso creativo.

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