La Fondazione italiana sull’intelligenza artificiale per l’industria, AI4I è realtà, con la sua natura giuridica, non più solo sulla carta, ma anche nella forma e nella sostanza e una sede fisica, a Torino. Ne parliamo con don Luca Peyron, teologo, coordinatore dell’Apostolato digitale dell’Arcidiocesi di Torino, che spiega ciò che accadrà con la messa a terra di questo brillante e concreto progetto. Dopo quattro anni di attesa, il Centro per l’intelligenza artificiale si prepara a partire, con una dotazione di 20 milioni di euro all’anno.
Don Peyron e il suo pensiero: ruolo e funzione della Fondazione
Sono trascorsi quattro anni da quando don Luca Peyron lanciò l’idea di creare una realtà che accogliesse più teste pensanti, dai ricercatori agli esperti e appassionati di tecnologie emergenti dotate di intelligenza artificiale, o meglio di sistemi intelligenti a servizio della collettività. Ce lo spiega bene dicendo che “la questione di cui ci stiamo occupando, è prima di tutto antropologica”, e perciò – e non è un caso – è appannaggio di preti, sociologici e filosofi. I sistemi di AI sono a servizio dell’essere umano, della vocazione umana e ben vengano quindi tutte quelle situazioni in cui liberano da posizioni di schiavitù.
Per questo motivo, nell’incontro tenutosi il 10 luglio 2024 tra il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio e il presidente della Fondazione Fabio Pamolli, quest’ultimo ha apertamente dichiarato che l’interlocuzione con don Luca avviene pressoché quotidianamente.
La filosofia e la mission della Fondazione
Già dal sito si capisce bene quale sia la filosofia e la mission che la Fondazione si propone: da un lato “coinvolgere e dare potere a ricercatori giovani, talentuosi e imprenditoriali che si impegnano a produrre un impatto all’intersezione tra scienza, innovazione e trasformazione industriale”, dall’altro “svolgere una ricerca trasformativa orientata alle applicazioni nell’ambito dell’intelligenza artificiale”.
La timeline e i bandi aperti
- a inizio maggio 2024 la Fondazione è stata presentata, alla presenza del ministro dell’Economia e delle Finanze, del ministro per le Imprese e il Made in Italy e del ministro dell’Università e della Ricerca;
- a metà giugno 2024 sono stati nominati ufficialmente i membri del Consiglio;
- il 5 luglio 2024 si è tenuta la prima riunione del Consiglio Direttivo e il giorno seguente è stata lanciata la call per la posizione di un direttore; quindi, la prima chiamata per le posizioni dirigenziali, il cui bando scadrà il prossimo 5 agosto, per chiudersi con la call per il direttore al 30 settembre 2024;
- a fine ottobre 2024 la selezione degli apicali dovrà ritenersi completata;
- a metà novembre 2024 sarà nominato (operativo) il direttore;
- a metà dicembre 2024 si terrà la prima chiamata per i ricercatori principali;
- a metà febbraio 2025 ci sarà la seconda chiamata per i ricercatori principali;
- con la primavera 2025 dovrà essere completata la selezione della prima coorte di ricercatori principali;
- con l’estate 2025 si dovrà ritenere conclusa anche la selezione della seconda coorte di ricercatori principali.
Naturalmente, essendo una Fondazione, per natura giuridica, è senza scopo di lucro.
Per ulteriori informazioni sui bandi indetti, rimandiamo qui.
Perché la sede a Torino
La sede della Fondazione è a Torino. Ma attenzione, come dice bene don Luca Peyron “…è a Torino, non di Torino”. Perché proprio a Torino? “Perché a Torino – dice – esiste un ecosistema industriale, accademico, sociale che quindi copre ad oggi di fatto tutte le classi merceologiche presenti sul mercato, permettendo alla Fondazione di avere il supporto che gli è necessario”. Torino non è dunque più la (sola) città del motore a scoppio, pensando all’impero industriale che la famiglia Agnelli ha costruito con la (ex) Fiat.
Ma non è tutto. La Fondazione non sarà un centro “astratto” normativo che si occupa di compliance all’AI Act e a tutto il plesso normativo che vi gravita attorno. Né intende dettare nuove e ulteriori regole oltre a quelle che, ufficiosamente, già ci sono. Semmai vuole essere un hub, un “laboratorio operativo” rispetto a tutto quello che si deve fare.
Gli obiettivi della Fondazione
Rispetto all’AI Act – ad oggi non ancora pubblicato in GU UE -, rispetto alla relazione in generale, parrebbe che dell’intelligenza artificiale ne debbano parlare soltanto filosofi e/o teologi. Una tale visione tuttavia, non solo sarebbe limitata, ma anche del tutto erronea per lo stesso Peyron che teologo lo è.
In altre parole, la Fondazione AI4I si pone l’obiettivo, forse ambizioso, come dice Peyron, di “far funzionare le imprese senza imbrigliarle con lacci e lacciuoli affinché siano compliant”; in una parola: di fare da “acceleratore di reazioni e di sviluppo rispetto a questa tecnologia capacitante”, coinvolgendo tutto il settore industriale produttivo del Paese, scalato in tutte le sue dimensioni. Ciò significa, in pratica, dalla grande impresa alla partecipata, passando anche dalla PMI, senza tuttavia, e Peyron lo dice a chiare lettere, “…duplicare quello che già c’è”, andando in cerca di alleanze, e non in conflitto o concorrenza. Anzi, un pensiero/fronte comune a vantaggio di un più ampio discorso sulla “internazionalizzazione”.
In pratica, una Fondazione nazionale la quale consenta di parlare con le altre nazioni al fine, sottolinea il sacerdote, “di inserirsi all’interno di piani sovranazionali con un discorso di scalabilità di tecnologia, lavorando per il bene comune e a servizio dello stesso”.
Non nuove regole, ma la messa a terra delle regole già scritte
Nel dire che non servono nuove regole, evidentemente capiamo che occorre diffondere la cultura (in fase di normazione).
Ne discende che si tratta di una Fondazione posta “a servizio” che non è, né diventerà, monopolista, fungendo da “catalizzatore”, ma verso un uso buono, utile e non distorto a geometria variabile, tutto teso al risultato in termini positivi.
Di qui, senza dimenticare che cos’è l’AI: una tecnologia generale sì emergente, difficile in sé e che in quanto tale non può essere un bene comune in sé e per sè, ma se concepita nell’accezione che gli è propria. Ecco che “certi sistemi – dotati di intelligenza artificiale – possono essere ammessi al servizio del bene comune”.
La visione, dunque, e l’approccio non di meno è evidentemente culturale. Ma non deve spaventare, anzi; e nel mondo del lavoro non va temuto il suo già ampio approdo, dal momento che sottrae da attività che rendono l’uomo “schiavo” o “lobotomizzato”.
Gli obiettivi
Il principale obiettivo, ci dice don Luca Peyron, “sarà quello di mettere a sistema per il bene del Paese tutto ciò che può essere messo a sistema, da Aosta a Lampedusa. In altri termini, ci spiega, “il compito della Fondazione è quello di far incontrare il più possibile le esigenze dell’impresa dell’industria, con la ricerca di un alto profilo, permettendo un dialogo internazionale culturale” su questi temi. D’altronde, l’AI rappresenta un tipo di tecnologia abilitante, il che significa “una tecnologia trasmessa al tessuto produttivo del Paese al fine di abilitarlo a stare nel futuro”.
Quindi, conclude, “l’obiettivo principale della Fondazione risiede proprio nel capacitare il sistema Italia rispetto all’intelligenza artificiale, sapendo che il nostro potenziale deve fare i conti con il resto del mondo che ha un impatto impressionante”. Di qui, lo spirito collaborativo con gli altri centri di eccellenza in materia, sparsi nel resto del mondo, dovendo fare l’ultimo miglio.
Perché alla Chiesa interessano questi temi
Alla Chiesa, dice Peyron, temi così all’avanguardia interessano da sempre, in quanto “interessa tutto ciò che è umanamente autentico” e non vi è nulla di più tale se non ciò che afferisce a una questione di natura “antropologica”, da cui deriva in definitiva l’etica e quindi la giustizia sociale ergo, il bene comune.
Se concepiamo invece un sistema di AI come un “qualcosa” al servizio del potere, della prevaricazione, della sopraffazione e via a seguire, non potrà mai essere uno ‘strumento di vita’, ma di morte”, conclude Peyron. “L’essere a servizio di tutti fa sì che diventi ‘una potenza di vita’, non tanto perché crea e diffonde dimestichezza, quanto per la sua capacità di risolvere i problemi”. In questi termini, dunque, avanti tutta.
Il comitato
Il comitato scientifico, nominato direttamente dal presidente Fabio Pammolli comprende, al momento, sette esperti: Simone Ungaro, Chief Innovation Officer del Gruppo Leonardo; Silvio Savarese e Marco Pavone, università di Stanford; il professor Riccardo Zecchina; Sabine Hauert, Università di Bristol ; Angela Schoelling, Università di Monaco e Alberto Bemporad, IMT School di Lucca.