Come l’AI sta innovando il modo di fare arte – 1

Molti artisti hanno da tempo rivoluzionato la loro maniera di concepire l’arte, utilizzando in via del tutto sperimentale e innovativa, l’intelligenza artificiale come mezzo artistico; non sono mancate ovviamente questioni di carattere “etico” relative al mestiere dell’arte. Prima tra tutte, la domanda: può una macchina creare?

Pubblicato il 07 Giu 2022

strange fruit 2020

L’intelligenza artificiale creativa, ovvero l’uso di software capaci di svolgere funzioni nel mondo delle arti creative, ha notevolmente implementato la possibilità di fruire di nuove forme testuali. Questa tecnologia, grazie all’apprendimento automatico, sta infatti avvicinando al modo tradizionale di produrre cultura, panorami inesplorati sulla creazione di contenuti: l’invenzione di sintetizzatori musicali che creano brani interpretando i gesti umani; la programmazione di super computer che, dopo aver analizzato e modellato i comportamenti cerebrali, possono comprendere e riprodurre i sogni e i pensieri dell’uomo; lo sviluppo di reti generative avversarie (GAN) che collaborando tra loro possono inventare dal nulla volti, corpi e voci del tutto assimilabili a quelli veri, ma mai realmente esistiti in natura. Un nuovo approccio che sta producendo notevoli effetti di innovazione nell’ambito dell’arte e delle industrie creative, sia in termini di come consumiamo il lavoro creativo, sia di come esso viene realizzato.

Indubbiamente, nell’intelligenza artificiale creativa risiede un potenziale artistico e culturale impressionante che potrebbe influenzare anche il modo che abbiamo di interfacciarci con i media. Molti artisti hanno da tempo rivoluzionato la loro maniera di concepire l’arte, utilizzando in via del tutto sperimentale e innovativa, l’intelligenza artificiale come mezzo artistico; non sono mancate ovviamente questioni di carattere “etico” relative al mestiere dell’arte. Prima tra tutte, la domanda: può una macchina creare?

L’arte “intelligente di Mario Klingemann

Mario Klingemann

Tra i professionisti dell’intelligenza artificiale creativa e i filosofi che hanno affrontato questo tema, un punto di vista interessante è senza dubbio quello di Mario Klingemann, un artista tedesco tra i pionieri e sostenitori del movimento artistico dell’intelligenza artificiale. Egli ha saputo coniugare nella sua produzione l’anima artistica creativa con il cervello calcolatore di un programmatore, usando l’intelligenza artificiale come mezzo per il suo lavoro. A proposito del concetto di creatività, l’artista tedesco ha una visione piuttosto particolare, com’è in parte riportata nell’articolo di Arthur Miller sul Guardian (2019):

Humans are not original, he says. We only reinvent, make connections between things we have seen.” While humans can only build on what we have learned and what others have done before us, “machines can create from scratch[1]”(Miller 2019).

Si tratta senza dubbio di una riflessione interessante, aldilà della questione sulla potenzialità creativa dell’essere umano o del significato preciso di creatività; i risultati tecnologici attuali hanno permesso alle reti neurali artificiali di agire in maniera totalmente autonoma, senza aver ricevuto comandi specifici per elaborare contenuti artistici e creativi, a volte del tutto nuovi.

Nell’opera di Klingemann, l’algoritmo utilizzato dall’artista è programmato per eseguire compiti attraverso le GAN, generative adversarial networks, la cui funzione consiste nell’operare e creare di propria iniziativa e, conseguentemente, valutare il proprio operato. Le GAN sono costituite da due reti neurali che, insieme, formano la mente dell’algoritmo; la prima svolge il lavoro vero e proprio, creando flussi di immagini; la seconda rete svolge la funzione di feedback, promuovendo o bocciando le creazioni della rete “avversaria”, sulla base dell’addestramento ricevuto precedentemente. L’arte di Klingemann consiste nell’utilizzare le GAN fornendo ad esse una quantità di materiale su cui lavorare per poi “liberarle” affinché vadano oltre i presupposti forniti dall’artista, scatenando l’indole creativa dell’algoritmo.

Alla luce delle innovative modalità creative dell’artista tedesco, i cui algoritmi dopo essere stati addestrati possono produrre nuove forme artistiche, le questioni si possono considerate esaurite?

can machines really be creative? Can they be considered artists in their own right? If creativity is a defining characteristic of what it means to be human, how can a collection of wires and transistors be considered creative?[2](Miller 2019).

Le macchine possono realmente essere creative?

Se si parte dal presupposto materialista che gli esseri umani, tanto quanto le macchine, siano esseri fisici che vivono e ragionano grazie a sistemi di collegamento meccanici e neurali, spiega Klingemann, allora non c’è motivo che impedisca di considerare le macchine potenzialmente creative. Anzi, i computer potrebbero diventare addirittura più creativi dell’essere umano: essi possono avere accesso integrato a una quantità sterminata di dati e informazioni online e potenzialmente a tutta la conoscenza. “Our human brains are too limited to imagine how powerful machine creativity may become[3] (Miller 2019). Le macchine hanno il vantaggio sull’uomo, di poter avere accesso in un attimo all’intera enciclopedia della cultura digitale e poterla esplorare senza limiti temporali, linguistici o mentali.

Oltre alla questione della creatività, Klingemann introduce anche il tema della novità e originalità. Soprattutto in riferimento all’ambito artistico, questi due fattori hanno un grande peso in termini di valore di un’opera. E se si fa riferimento a una produzione artistica creata da un algoritmo di intelligenza artificiale, come ci si deve comportare nell’osservarla e valutarla? Quali criteri sono più pertinenti per l’analisi di un’opera di questo tipo? Nell’agenda 2017, il World Economic Forum (Hart 2017) si è interrogato in merito alla questione sull’appartenenza del diritto di copyright di un’opera prodotta dall’intelligenza artificiale: in alcuni Paesi, tra cui gli Stati Uniti, gli algoritmi di intelligenza artificiale non hanno il diritto di ricevere copyright, in quanto quest’ultimo può appartenere solo a un essere umano. La questione dei diritti d’autore è ancora molto confusa e sfumata sia per quanto riguarda le opere create da un computer che, quindi dovrebbe detenerne il merito, sia per quanto riguarda quelle opere create dall’uomo, poi “copiate” da un algoritmo, il quale nella sostanza, non potrebbe essere perseguito per plagio.

Frame da Blade Runner – Autoencoded

Celebre è il caso di Blade Runner – Autoencoded, un’opera video prodotta dall’intelligenza artificiale sotto istruzioni dell’artista Terence Broad che ha fatto vedere il film originale di Ridley Scott alla macchina e quest’ultima, dopo la visione, ha ricreato una serie di video artificiali basati sul film. Qualche tempo dopo, la Warner Bros, che detiene i diritti del film originale, ha chiesto la rimozione dei video creati dall’intelligenza artificiale. Questa rimozione della ricostruzione artificiale di un film rivela, a proposito dell’originalità di un’opera d’arte creata da una macchina, oltre alla difficoltà di trovare l’autore a cui rivolgersi per un eventuale plagio, anche la potenziale incapacità degli esseri umani di distinguere tra intelligenza artificiale e realtà: la stessa Warner Bros ha, infatti, scambiato la creazione di una macchina per il film reale che essa stessa aveva prodotto. Questo evidenzia non solo lacune dal punto di vista legale, in cui i sistemi giuridici ancora non sono riusciti a conformarsi a questa nuova forma di creatività, ma anche sul significato di originalità di un’opera.

In ogni caso, anche facendo riferimento a quest’ultimo, è ancora piuttosto prematuro porsi la questione dell’originalità pura di un’opera d’arte e del relativo diritto d’autore in quanto anche tecnologie più avanzate come le GAN si basano, in qualche modo, su una minima parte di dati umani ad esse forniti.

Blade Runner - Autoencoded: trailer - side by side comparison

Blade Runner - Autoencoded: trailer - side by side comparison

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Video: Blade Runner – Autoencoded

Conclusioni

Eppure, le speranze verso nuove forme di creatività non si placano facilmente. Secondo Klingemann, infatti, se è vero che gli esseri umani, in realtà, non sono in grado di produrre niente di nuovo, ma solo rielaborazioni di ciò che già è stato creato, anche sulla base dell’enciclopedia culturale di ognuno, allora forse le macchine possono diventare quell’elemento davvero creativo che ha la possibilità di plasmare nuove forme di cultura e di conoscenza che mai l’uomo avrebbe pensato di immaginare. Se fino ad ora gli algoritmi di AI hanno ridefinito il concetto di intelligenza, non più di pertinenza solo umana, ma anche capace di cose che superano i limiti umani, forse è possibile che anche il concetto di creatività prima o poi sconfinerà rispetto alla definizione che la vedeva appannaggio esclusivo dell’essere umano.

Miller Arthur, 2019. “Can machines be more creative than humans?”, online. The Guardian. Disponibile nel sito: https://www.theguardian.com/international.

Hart, Robert. 2017. “If an AI creates a work of art, who owns the copyright?”, online. World Economic Forum. Disponibile nel sito: https://www.weforum.org/events/the-davos-agenda-2021.

Note

  1. Gli esseri umani non sono originali. Reinventano solo, creano collegamenti tra le cose che hanno visto. Mentre gli esseri umani possono solo costruire su ciò che hanno imparato e ciò che altri hanno fatto prima di loro, le macchine possono creare da zero.
  2. Le macchine possono davvero essere creative? Possono essere considerati artisti a pieno titolo? Se la creatività è una caratteristica distintiva di ciò che significa essere umani, come può essere considerata creativa una collezione di cavi e transistor?
  3. Il nostro cervello umano è troppo limitato per immaginare quanto possa diventare potente la creatività delle macchine.

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