Normative

Il Ddl sull’intelligenza artificiale e il diritto d’autore: una visione antropocentrica



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Nel progetto legislativo del governo italiano, solo l’opera che rifletta la soggettività, la creatività e l’ingegno dell’autore, o persona fisica, risulta meritevole di tutela. Fondamentale diviene, dunque, la quantificazione e qualificazione del contributo umano nel processo di realizzazione dell’opera digitale

Pubblicato il 3 giu 2024

Natalia Tardera

Associate di Studio Rock

Alfredo Trotta

Equity partner di Studio Rock



AI PACT

L’intelligenza artificiale sostituirà l’uomo trasformandolo da soggetto attivo a mero spettatore? È questa la domanda che desta più preoccupazione al giorno d’oggi e alla quale tutti cercano di dare risposte più o meno rassicuranti. L’intelligenza umana non è solo capacità di elaborazioni di dati ma è capacità di elaborazione unita a consapevolezza, esperienza, sensazioni e passioni. Può quindi una macchina, un algoritmo raggiungere quella raffinatezza di pensiero che, nel regno animale, appartiene esclusivamente all’uomo?

Le risposte dell’Ue e del Consiglio dei Ministri

A dare una risposta negativa a tali interrogativi ci ha pensato, in un primo momento, il legislatore europeo e, in un secondo momento, in ambito nazionale, il Consiglio dei Ministri. Entrambi gli Organi prendono coscienza dell’importanza di introdurre sistemi AI nella società al fine di garantire l’innovazione e la competitività dei singoli Paesi in ambito internazionale. Tuttavia, tale apertura alle nuove tecnologie non vuole avvenire a “briglia sciolta” ma vuole essere accompagnata dalla predisposizione di un quadro normativo solido, chiaro e conforme ai principi nazionali ed europei e ciò al fine di evitare contraddizioni.

Il processo di regolamentazione della materia a livello europeo può considerarsi concluso con l’emanazione del Regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, l’Artificial Intelligence Act (AI Act), approvato in via definitiva dal Consiglio lo scorso 21 maggio. In tale testo si afferma l’insostituibilità dell’uomo nello svolgimento delle proprie attività, sposando una visione di tecnologia antropocentrica, ove i sistemi di AI sono mero strumento a disposizione delle persone per migliorarne l’esistenza (Considerando 6, AI Act). Il nuovo importante testo legislativo si prefigge lo scopo di garantire un’AI sicura e affidabile mediante un approccio fondato sul rischio: più alto è il rischio di danno che l’utilizzo delle nuove tecnologie può causare, più stringenti e severe saranno le regole.

In ambito nazionale, invece, tale sfida è stata raccolta dal Consiglio dei Ministri che lo scorso 23 aprile si è riunito per varare un Disegno di legge (“Ddl”) per l’introduzione nel nostro ordinamento di una normativa che regoli il rapporto tra le persone e l’intelligenza artificiale in tutti quegli ambiti in cui quest’ultima possa essere utilizzata per semplificare e velocizzare l’attività umana. L’iter nazionale, a differenza di quello Europeo, è tutt’altro che concluso, dovendo il Ddl passare al vaglio della Camera e del Senato, dei quali si auspica una pronta pronuncia.

Il diritto d’autore nel Ddl sull’intelligenza artificiale

Uno degli ambiti in cui l’esecutivo è intervenuto al fine di evitare vuoti di tutela è quello del diritto d’autore, regolato nel nostro ordinamento dalla L. 22 aprile 1941, n. 633 e ss.mm.

Per valutare la portata innovativa dei principi enunciati dalla proposta, occorre partire dal quesito fondamentale se le opere realizzate con l’ausilio di strumenti di AI rientrano nel concetto di “opere dell’ingegno di carattere creativo” ai sensi dell’art. 1 della suddetta legge.

Sulla base del dettato della norma e della giurisprudenza formatasi intorno al tema, la risposta non potrebbe che essere negativa, posto che la tutela del diritto d’autore presuppone che l’opera realizzata “rifletta la personalità del suo autore, manifestandone le sue scelte libere e creative.” Appare chiaro, dunque, che l’AI non possa essere giuridicamente considerata quale “autore” di una determinata creazione, difettando i requisiti dell’originalità e della creatività intellettuale riferibili esclusivamente alla persona fisica.

Ciò è confermato anche dalla giurisprudenza internazionale e in particolare da quella statunitense che, rifiutando di riconoscere la tutela del copyright a opere generate da un sistema di intelligenza artificiale, ha ribadito la necessità che la creatività umana continui a controllare ogni processo creativo di un’opera, anche di fronte l’avvento di nuove tecnologie.

Nel Ddl prevale una visione antropocentrica dell’opera dell’ingegno

Il Ddl all’art. 24, tuttavia, prevede un’integrazione dell’art. 1 della Legge, ricomprendendo nelle “opere dell’ingegno umano “anche quelle opere “realizzate con l’ausilio strumenti di intelligenza artificiale purché il contributo umano sia creativo, rilevante e dimostrabile”.

Si è dinanzi a una riaffermazione della visione antropocentrica in forza della quale solo l’opera che rifletta la soggettività, la creatività e l’ingegno dell’autore/ persona fisica risulta meritevole di tutela.

Fondamentale diviene, dunque, la quantificazione/ qualificazione del contributo umano nel processo di realizzazione dell’opera digitale. Qualora il Ddl dovesse essere confermato, risulta indispensabile riempire di significato quelle clausole generali che rendono difficile, in un’ottica di trasposizione della norma nella singola fattispecie, l’individuazione del “quantum” dell’apporto umano che rende tutelabile la creazione digitale dal diritto d’autore.

Tale visione antropocentrica viene confermata anche nell’ambito delle professioni intellettuali caratterizzate, nel nostro ordinamento, dalla personalità della prestazione professionale.

All’art. 12 il legislatore delegando statuisce che l’utilizzo da parte del professionista dei sistemi di intelligenza artificiale è consentito “esclusivamente per esercitare attività strumentali e di supporto all’attività professionale”

Si è di fronte, anche in questo caso, di una riconferma dei principi ispiratori del nostro ordinamento e ad un relegamento dei sistemi AI ad una mera funzione di ausilio dell’attività del professionista. Si allontana così la moderna preoccupazione che l’AI, e le nuove tecnologie in generale, possano sostituire l’uomo e che, in qualche modo, l’intelligenza artificiale possa rimpiazzare quella umana.

Se la proposta verrà approvata, occorrerà dunque che gli organismi di categoria si adoperino al fine di aggiornare i codici deontologici, prevendo capitoli che regolino l’utilizzo dei sistemi AI nelle singole professioni. A ciò si aggiungerebbe l’esigenza di organizzare, per tutti i professionisti, corsi formativi al fine di alfabetizzarli all’uso delle nuove tecnologie nonché corsi di aggiornamento per consentirgli di stare al passo con le loro evoluzioni.

L’amministrazione della giustizia nel Ddl sull’intelligenza artificiale

Medesima funzione di mero ausilio viene assegnata all’AI nel settore dell’amministrazione della giustizia, strettamente connesso a quello delle professioni intellettuali.

All’articolo 14 del Ddl, infatti, si legge che “i sistemi di intelligenza artificiale sono utilizzati esclusivamente per l’organizzazione e la semplificazione del lavoro giudiziario nonché per la ricerca giurisprudenziale e dottrinale” mentre l’interpretazione della legge, dei fatti e delle prove viene rimessa esclusivamente all’organo giudicante. Si esclude, dunque, la possibilità di poter sostituire il ragionamento giuridico affidato al giudice-persona con modelli predittivi totalmente meccanici che, sulla base di algoritmi (che tengano conto dei precedenti giurisprudenziali analoghi), rendono prevedibile e certo l’esito di un giudizio.

Seppur da un lato tale sistema potrebbe limitare o, meglio, azzerare il rischio di discrezionalità nella decisione, dall’altro non tiene conto delle sfaccettature e singolarità del singolo caso concreto che rendono necessaria un’attività di valutazione dei fatti e interpretazione del diritto difficilmente affidabile a un algoritmo.

Nelle intenzioni del Governo, il nostro sistema giurisdizionale resta ancorato al principio del controllo umano sulla singola decisione, discostandosi da quegli ordinamenti, come il Perù, che pian piano stanno aprendo la via al giudice-robot.

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