L’intelligenza artificiale applicata alla Giustizia e, più in generale, in campo giuridico è tutt’altro che realtà. Le prospettive sono buone, soprattutto in alcuni ambiti come la giustizia predittiva, ma i tempi sono ancora prematuri.
Secondo i risultati dell’ultima ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale degli Osservatori Digitali della School of Management del Politecnico di Milano, citati – nella loro trasposizione in un servizio pubblicato da Affari&Finanza – da Angelo Proserpio, avvocato e presidente dell’Unione Lombarda degli Ordini Forensi, durante l’apertura del convegno “Riforme processuali, algoritmi ed accesso alla Giustizia: problemi e prospettive”, organizzato a Milano dall’Organismo Congressuale Forense, la spesa in tecnologie ICT di avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari raggiunge nel 2018 il valore di 1.265 milioni di euro, con una crescita del 7,9% rispetto all’anno precedente, molto superiore all’aumento registrato dalle imprese nello stesso periodo (+0,7%); una crescita trainata non solamente dall’adempimento a obblighi normativi ma anche e soprattutto da una crescente consapevolezza dell’utilità degli strumenti digitali per le attività delle professioni economico-giuridiche.
Proserpio ha evidenziato come gli avvocati, benché ad oggi siano i professionisti che spendono di meno in innovazione tecnologica, rappresentano la categoria professionale che registra la crescita di investimenti più elevata (+22,6% rispetto all’anno precedente). «Nonostante questa crescita, ancora marginale risulta l’adozione di tecnologie di frontiera, come la Business Intelligence (3%), la Blockchain (2%) e l’Artificial Intelligence (1%)», ha poi fatto presente Proserpio.
Ci sono però le eccezioni, a Milano, ha voluto ricordare Andrea Del Corno, avvocato e consigliere dell’Ordine avvocati di Milano, «è stato istituito un consiglio ad hoc per lo studio dell’intelligenza artificiale applicata alla Giustizia». La consapevolezza è che «il tema della giustizia predittiva è una frontiera molto interessante che cambierà il modo di fare giurisprudenza, avrà un impatto non solamente nelle cause e nelle scelte difensive ma anche nelle modalità dei giudici di conoscere i precedenti e di sapere l’esito delle proprie cause», sono state le parole di Del Corno.
Intelligenza artificiale e Giustizia, tre le vie “tecnologiche” da traguardare
«Nonostante tutti i nostri tentativi di rimozione, la tecnologia e l’intelligenza artificiale sono entrate nelle nostre vite», è la provocazione con cui interviene Giovanni Malinconico, avvocato e coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense, secondo il quale approcciare l’intelligenza artificiale come se fosse un qualsiasi altro strumento di lavoro potrebbe non essere efficace. «L’approccio del giurista, della legge, dell’ordinamento giuridico e quello dell’intelligenza artificiale sono entrambi approcci metodologici paradigmatici, sono sistemi di regole; il paradigma digitale sempre più diventerà paradigma processuale di legge. È da questa consapevolezza che bisogna iniziare a capire ed utilizzare l’intelligenza artificiale».
Secondo Malinconico, tre potrebbero essere in futuro le modalità di utilizzo della tecnologia, in particolare dell’intelligenza artificiale, nell’ambito della Giustizia:
1) conservazione e gestione documentale (banche dati giuridiche): «il grande potere di accesso e disponibilità a dati ed informazioni – cui la mente umana non può aspirare – cambia la struttura stessa del pensiero», osserva Malinconico, la gestione del dato assumerà quindi una rilevanza critica sia in termini quantitativi sia qualitativi;
2) profilazione del dato: «operazioni come acquisizioni di società richiedono per i legali di accedere a informazioni innumerevoli e complesse, grandi molti di dati che devono essere “qualificate”, profilate per trarne analisi e valutazioni efficaci», dice a titolo di esempio l’avvocato Malinconico;
3) processo decisionale: «qui c’è la vera sfida – invita a riflettere Malinconico -; bisogna avere bene in mente qual è la regola gerarchicamente sovraordinata e sottordinata (e in misura di cosa) nell’interpretazione delle regole giuridiche nei sistemi normativi (principio di preferenza della legge). Un ordinamento troppo rigido non risponde alla società, ancor meno alla velocità con cui si muovono oggi le tecnologie», conclude Malinconico.
Potenzialità e rischi della giustizia predittiva
«Subire o governare, così si riassume il processo di cambiamento in atto», sono le prima parole dell’intervento di Claudio Castelli, presidente della Corte di Appello di Brescia. «L’intelligenza artificiale è già applicata alla Giustizia: da quindici anni negli uffici GIP di Milano i dibattimenti vengono assegnati tramite algoritmi [sistema GIADA, Gestione Informatica Automatizzata Assegnazioni Dibattimento – ndr]. Chi si occupa di legge è un conservatore per natura ma il rischio concreto è che tra qualche anno sarà troppo tardi accorgersi del cambiamento. Rischiamo di essere “spazzati via” senza accorgercene. Non possiamo pensare che il tempo sia una variabile indifferente».
Benché la giustizia predittiva, come accennato, rappresenti solo uno dei canali dove l’intelligenza artificiale possa essere già oggi applicata, è quella su cui sta concentrando i maggiori sforzi di studio lo stesso Castelli che dice: «lavorare sulle giustizia predittiva apre scenari finora inesplorati nel modello giurisprudenziale italiano, impattando su temi come la filosofia del diritto e questioni etiche che non possiamo non analizzare e dibattere fin da ora».
Nelle valutazioni di Castelli, la giustizia predittiva impatterà in modo significativo sulla Giurisprudenza:
1) portando più valore al “precedente”: oggi in Italia non esiste la logica del “precedente”, tipica del sistema giuridico Common Law; l’intelligenza artificiale potrebbe invece aprire scenari molto interessanti, facilitando per esempio l’accesso alle informazioni (per esempio permettendo ad avvocati, magistrati e giudici di conoscere il precedente, oggi cosa molto difficile per via dell’enorme mole di dati nascosti nella documentazione processuale e delle sentenze);
2) consentendo la profilazione di giudici e avvocati: in questo caso si tratta di un elemento oggettivamente pericoloso ed è innegabile che si aprono problematiche e criticità di tipo etico che devono essere governate ed affrontate per tempo;
3) assicurando maggiore trasparenza verso i cittadini: l’intelligenza artificiale potrebbe essere l’elemento grazie al quale la “predittività” della Giustizia si traduce, per i cittadini, in informazioni utili su come potrebbe andare un processo, quanto potrebbe durare, costare, e come potrebbe finire, con l’obiettivo di far fare alle persone anche scelte più consapevoli, magari anche verso la mediazione o altre forme di conciliazione, senza arrivare al processo.
«È evidente che la giustizia predittiva potrebbe tramutarsi in giustizia preventiva, come sta accadendo nel campo della medicina», mette in guardia Castelli. «La trasparenza genera, prima di tutto, oggettività, è questa la strada da perseguire. Serve, come accennato, la governance per fare in modo che la tecnologia diventi un aiuto per avvocati e giudici affinché lavorino meglio, con elementi più chiari e più oggettivi, senza sostituirsi ad essi o minare la loro autonomia. Se non governiamo ora il cambiamento, perderemo anche quell’elemento di “umanità” che, per ora, non caratterizza l’intelligenza artificiale ma che potrebbe farlo presto: in un dibattimento non conta solo ciò che si dice ma anche come viene detto; l’intelligenza artificiale arriverà anche ad analizzare elementi così “soggettivi” legati alle emozioni… non possiamo attendere senza fare nulla».
Algoritmi semantici, una via attuale per applicare l’intelligenza artificiale alla Giustizia
«È un errore gigantesco di prospettiva pensare che la legge possa continuare sulla sua strada senza tenere conto dei cambi di paradigma sociali. Oggi la legge è rimasta indietro rispetto all’evoluzione», interviene in modo provocatorio e senza mezzi termini Andrea Stanchi, avvocato di Milano e membro dell’Organismo Congressuale Forense, che da diversi anni cerca di incentivare l’utilizzo delle logiche algoritmiche in un sistema di “conoscenza condivisa” per rendere accessibili i dati e le informazioni giuridiche a tutti i professionisti del settore.
«Il vero protagonista del salto tecnologico è il dato», afferma Stanchi. «In quest’ottica la caratteristica fondamentale dell’evoluzione del sistema giudiziario sta nel media, ossia nel mezzo/supporto dove “vivono” leggi e loro modalità di applicazione, cioè i dati. Oggi questo media è ancora la carta ma è un supporto “piatto”, ha una quantità finita di informazioni che può dare, ha una costruzione semantica ed una logica strutturale predefinita. Il digitale cambia completamente la struttura e la profondità (intesa come la quantità di informazioni che possono essere contenute) delle leggi, degli atti e delle documentazioni processuali».
«Oggi non possiamo pensare ad una riforma della Giustizia e dei processi trascurando le regole tecniche, quelle dettate dal nuovo media digitale», aggiunge Stanchi. «Bisogna iniziare a ragionare sulla natura stessa del media, sulla sua “influenza” sul nostro sistema processuale e su come, quindi, andare a rivederlo».
Muoversi a cavallo o con l’automobile presuppone regole differenti; sfruttare il vapore o l’energia elettrica richieste sistemi e regole differenti; utilizzare la carta o il digitale impone differenti modalità di approccio… stiamo parlando di paradigmi completamente differenti, «come può esserci la stessa legge?», chiede in modo deciso Stanchi.
«La svolta sta nell’utilizzo delle potenzialità del dato – aggiunge ancora Stanchi – e questo dipende da come il dato stesso viene “costruito”. La costruzione diversa del dato consente una utilizzazione diversa delle informazioni: usare algoritmi semantici (costruiti attraverso la logica di attribuzione di senso all’interno di un contesto specifico attraverso la semantica e non solo mediante la logica grammaticale e linguistica) oggi potrebbe essere di grandissimo aiuto per avvocati, magistrati e giudici per avere quei dati, quelle informazioni, quella conoscenza che oggi il media “piatto” non consente di avere».
«L’utilizzazione di algoritmi di tipo “semantico” potrebbe potenziare il lavoro del magistrato e degli operatori di giustizia, già solo con la tecnologia ad oggi disponibile», sono state le considerazioni finali di Giovanni Malinconico. «In tale prospettiva, ridurre la riflessione sui rapporti tra intelligenza artificiale e processo giurisdizionale al tema della cosiddetta “giustizia predittiva”, pur se mediaticamente suggestivo, per un verso è velleitario e per altro verso impedisce di sfruttare le più ampie opportunità che la tecnologia esistente offre».