Intelligenza artificiale: Europa “terza incomoda” tra Cina e Usa?

La guerra alla supremazia sull’intelligenza artificiale la stanno giocando, quasi a colpi di guerra fredda, Cina e Stati Uniti. L’Europa è in grave ritardo, anche se qualcosa si è mosso, e l’Italia ha reagito con estremo ritardo anche rispetto agli altri paesi europei (come Inghilterra e Francia). Qual è lo scenario politico internazionale attuale entro il quale si sta evolvendo l’AI e quale dovrà essere il ruolo dell’Italia? Ne abbiamo discusso con Piero Poccianti, Presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale

Pubblicato il 26 Feb 2019

Cina Stati Uniti chip

Nella storia dell’intelligenza artificiale di momenti di grande attenzione come quello che stiamo vedendo e vivendo in questi anni ce ne sono stati diversi, almeno tre o quattro. I ricercatori parlano di primavere e di inverni dell’AI (Artificial Intelligence). Per cercare di fare il punto sul momento storico attuale e su ciò che dobbiamo aspettarci di vedere, in Italia ma ancor di più sullo scenario europeo ed internazionale, abbiamo analizzato la situazione da diversi punti di vista con l’aiuto di Piero Poccianti, Presidente di AIxIA, l’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale.

«Non è la prima volta che la Cina si mostra come concorrente importante a livello internazionale; basta ricordare i progressi della quinta generazione dell’intelligenza artificiale (tra il 1980 ed il 1985, quando si tentò di portare l’AI fuori dal mondo accademico puntando sul mercato dei sistemi esperti), la Cina investì moltissimo nello sviluppo di computer intelligenti (all’epoca basati sulla logica), in particolare sfruttando Prolog, linguaggio di programmazione che adotta il paradigma di programmazione logica e che fu inventato in Europa», esordisce Poccianti. «Oggi assistiamo ad un “revival” delle reti neurali (nate nei primi anni ‘40 vissero una nuova primavera a metà degli anni ’80) grazie alla massa critica raggiunta sulla potenza di calcolo e alla grandissima disponibilità di dati. Una situazione che si ripercuote anche sulla geopolitica e che quindi spinge le superpotenze ad accelerare sulla ricerca in questo campo (e più in generale nell’ambito dell’intelligenza artificiale)».

La Russia non ha ancora un piano preciso (a quanto ci risulta) però Putin disse ormai un paio d’anni fa che «chi dominerà l’intelligenza artificiale, dominerà il mondo». La Cina ha un piano al 2030 [il “New Generation Artificial Intelligence Development Plan” con il quale mira a sviluppare un mercato domestico del valore di oltre 150 miliardi di dollari – ndr] e vuole diventare leader mondiale nel campo dell’AI; gli Stati Uniti stanno ormai investendo denaro, tempo e competenze da diversi anni (anche grazie alle multinazionali) con il chiaro obiettivo di “dominare” il campo dell’AI.

«Cina e Usa sono quindi ad oggi i due grandi protagonisti ma hanno approcci completamente differenti», puntualizza il presidente di AIxIA. «Sono entrambi paesi capitalistici ma, mentre gli Stati Uniti hanno una forma di capitalismo incentrata sul liberismo, il capitalismo cinese è pianificato e controllato. Questi modelli politico-governativi si traducono anche in una diversità di approccio all’intelligenza artificiale».

Non dobbiamo poi dimenticare che gli Usa hanno anche la DARPA, la Defense Advanced Research Projects Agency (che tradotto letteralmente significa “agenzia per i progetti di ricerca avanzata di difesa”), un’agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare, da molti anni molto attivo sul fronte della ricerca nel campo dell’AI. Non solo, il Dipartimento della Difesa americano, da solo, sta investendo circa 2 miliardi di dollari nella ricerca (nella visione dell’evoluzione dell’AI), in particolare nel tentativo di superare alcuni dei limiti attuali che i ricercatori conoscono bene. La Darpa, in dettaglio, ha stilato un documento (DARPA Perspective on AI) con il quale evidenzia le tre ondate dell’intelligenza artificiale:

1) descrizione, l’ondata dell’AI che ha visto crescere sistemi logici, sistemi esperti, le ontologie, ecc.;

2) categorizzazione (l’ondata che viviamo oggi) che si basa sullo statistical learning (all’interno del quale c’è anche il deep learning) e sui sistemi che sono in grado di estrarre conoscenza dai dati;

3) adattamento e spiegazione, il futuro dell’intelligenza artificiale ci porterà anche a macchine capaci di adattarsi a situazioni mutevoli e in grado di capire e spiegare il comportamento dei “sistemi intelligenti” (oggi sfida – e problema – molto serio perché l’avanzamento delle reti neurali profonde e del deep learning avviene senza che si possano capire e verificare i processi decisionali e come un sistema “ragiona” e si comporta per arrivare ad una decisione, un output, un’azione). La ricerca dovrà quindi lavorare per portare le macchine autonome a spiegare il proprio comportamento affinché l’uomo non ne perda il controllo.

«Pur non conoscendo bene il perimetro degli investimenti messi in campo dagli Usa, l’Europa sta investendo poco (il programma di ricerca europeo non arriva ai 2 miliardi, programma globale per la ricerca scientifica, non specifica per l’AI)», spiega Poccianti. «In Europa c’è un progetto chiamato AI4EU che mira a sviluppare una infrastruttura comune per l’intelligenza artificiale a livello europeo finanziato con soli 20 milioni di Euro.

La disparità purtroppo si vede anche a livello di documenti programmatici. Gli Stati Uniti sono partiti nel 2016, sotto la presidenza Obama, realizzando due importanti documenti “guida”: il primo era un documento governativo con il quale si evidenziavano sia i punti di forza dell’AI ma anche le criticità ed i rischi; un secondo documento più specifico sugli impatti economici dell’AI uscì a dicembre del 2016.

In Europa i documenti più rilevanti sono stati prodotti e rilasciati lo scorso anno, il più rilevante forse quello della Francia (che vuole diventare uno dei leader europei in questo campo) che ingloba una visione non solo nazionale ma anche europea [interessante anche il documento programmatico inglese, all’interno del quale manca però la visione europea – ndr]. In Italia, il gruppo di esperti sull’intelligenza artificiale voluto dal MISE sta lavorando ora alla realizzazione di un documento simile».

Ad ogni modo, esistono diverse iniziative per mettere a fattor comune la ricerca di base (negli Stati Uniti si traduce in alleanze strategiche tra le varie multinazionali) e l’Europa vanta un paio di progetti interessanti (che andranno a fondersi in un unico piano):

1) Ellis (Laboratorio Europeo per l’Apprendimento e i Sistemi Intelligenti): progetto promosso da Francia e Germania che si si propone di potenziare in Europa lo sviluppo delle tecnologie AI attraverso varie azioni, fra cui la creazione di una rete di laboratori europei di eccellenza, l’istituzione di un dottorato di ricerca europeo, la promozione di collaborazioni fra università e industria per l’utilizzo commerciale dell’intelligenza artificiale. Il laboratorio, in particolare, si focalizza sull’utilizzo di metodologie di intelligenza artificiale basate sull’apprendimento automatico e il deep learning.

2) Claire (Confederation of Laboratories for Artificial Intelligence Research in Europe): progetto promosso da 158 accademici e scienziati – e poi lanciato da oltre 600 esperti di AI dislocati in 20 paesi europei – che aspirano ad avere un “Cern” dell’intelligenza artificiale in Europa unendo, anche in questo caso, i laboratori ma per fare ricerca sull’AI a più ampio spettro (l’idea è replicare il modello del Cern, oggi avanguardia internazionale nel campo della ricerca della fisica quantistica e dello studio delle particelle elementari, sviluppando un centro di ricerca internazionale – basato in Europa – specifico sulla ricerca, anche libera e di base, dell’AI).

«La mia personale visione è però ombrata dal fatto che non esiste una vera Europa politica. Se riuscissimo in questo momento a fare politica, seria, sull’intelligenza artificiale potremmo mettere basi importanti non solo per la ricerca ma anche per l’economia e la garanzia di una posizione di rilievo dell’Europa negli scenari geopolitici internazionali», è il pensiero di Poccianti.

Venendo all’Italia, qualcosa di estremamente interessante si sta facendo con il Cini (Consorzio Interuniversitario per l’informatica) che circa sei mesi fa ha istituito il Laboratorio Nazionale CINI AIIS (Artificial Intelligence and Intelligent Systems), nato con la precisa volontà di «creare le basi per un efficace ecosistema italiano dell’intelligenza artificiale, inclusivo di tutte le competenze e votato a evidenziare le eccellenze nazionali per rafforzare il ruolo scientifico e tecnologico dell’Italia in Europa e nel mondo» (si legge nella nota ufficiale).

Dal punto di vista della ricerca l’Italia è un paese non trascurabile e vanta alcune eccellenze. Basta guardare il numero di articoli che i ricercatori pubblicano sulle riviste scientifiche accreditate [secondo quanto riporta OCSE, l’Italia è al quinto posto a livello mondiale per numero di articoli scientifici sul tema machine learning: davanti a noi solo Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna e India. Secondo l’ultimo rapporto Ai Index, l’Europa è addirittura al primo posto, davanti a Cina e Stati Uniti, nella classifica dei continenti con un maggior numero di ricerche scientifiche nel settore dell’Intelligenza artificiale – ndr].

Tuttavia, se guardiamo al mondo industriale siamo molto indietro come paese. L’industria italiana ci ha creduto poco, in parte anche per un problema metodologico (prima di investire le aziende vogliono sapere che impatti e ritorni potrà avere ma su un progetto di intelligenza artificiale è ancora molto difficile).

«Dal punto di vista politico e governativo, il MISE, con il gruppo di esperti di intelligenza artificiale, si è dato come obiettivo l’arrivare ad un documento programmatico simile a quello che la Francia ha realizzato lo scorso anno – precisa ancora Poccianti -. Forse è persino errato chiamarlo team di esperti di intelligenza artificiale, dato che il gruppo è costituito da persone competenti in svariate discipline ed è qui il grande valore che ne può emergere, dato che l’obiettivo dichiarato è far emergere le opportunità (ed i rischi) dell’intelligenza artificiale prendendo in considerazione diversi aspetti (sicurezza, impatti sul lavoro, impatti sull’umanità, ecc.). Il punto critico è che i tempi sono davvero molto stretti: l’Italia è in ritardo ed ai gruppi di lavoro sono state dettate tempistiche molto stringenti, parliamo di poche settimane (il documento programmatico francese, così come quello inglese, sono stati realizzati in un anno di lavoro). Io credo che per avere un risultato di qualità servano tempi più lungi».

La buona notizia, nella visione di Poccianti, è che «la ricerca non ha confini, nemmeno se si parla di Cina ed Usa».

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