Intuizione e razionalità: un eterno dilemma per l’intelligenza

L’intelligenza artificiale può costituire uno strumento prezioso per analizzare i dati, capire il contesto e cercare nuove strategie, ma per farlo occorre integrare la capacità di reasoning e planning con quella di percezione immediata della realtà. Le macchine devono imparare dai nostri errori

Pubblicato il 07 Mag 2020

Piero Poccianti

Ex presidente Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA)

decolonizzare AI

La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele servo.

Albert Einstein

L’intelligenza artificiale è una disciplina che ha almeno 70 anni. La sua definizione risale al 1956, ma la base della disciplina è contenuta nell’articolo di Alan Turing del 1950 Computing Machinery and Intelligence. Eppure ancora siamo lontani dall’aver capito cosa significa pensare e cosa possiamo definire comportamento intelligente.

In modo altalenante ci siamo rivolti alla logica, al ragionamento e alla rappresentazione della conoscenza oppure alla simulazione relativamente semplificata delle reti di neuroni che, per quanto sappiamo, costituiscono le unità elementari del nostro cervello. Se analizziamo con attenzione i metodi che noi umani usiamo per risolvere problemi scopriamo che spesso ci basiamo su una combinazione di intuizione e ragionamento. Proviamo ad esempio ad analizzare il lavoro di uno scienziato per evidenziare quali sono gli strumenti che utilizza nel suo processo di analisi della realtà e scoperta di nuove leggi, principi e teorie.

Un matematico, sicuramente usa la logica e la matematica per formulare dimostrazioni e creare nuovi concetti. Tuttavia il processo della scoperta di un matematico o di un fisico è guidato sempre anche da un senso estetico, da un processo intuitivo, che lo porta a formulare ipotesi. Solo una volta che l’idea si affaccia nella sua mente, ricorre, in genere, al processo logico deduttivo per provarne la veridicità o meno.

Un processo che somiglia quindi più all’arte che a quello che comunemente chiamiamo scienza. Da qui il significato della frase di Albert Einstein posta in apertura dell’articolo. Il grande scienziato considerava infatti il suo processo di ragionamento più come “brividi sulla pelle” che come processo logico.

I processi dell’intelligenza artificiale

Passando dall’intelligenza umana all’intelligenza artificiale possiamo notare processi e metodi analoghi a quelli sopra descritti. In primo luogo l’intelligenza artificiale usa metodi statistici e subsimbolici per percepire il mondo intorno ad essa: vedere, riconoscere suoni, configurazioni nell’analisi di grandi moli di dati, fare diagnosi, ecc. Oggi, ad esempio, grazie alle deep neural network stiamo compiendo passi avanti nella comprensione del linguaggio sia scritto che parlato, nella traduzione, nel riconoscimento di forme e configurazioni.

Tuttavia, se analizziamo con attenzione molti casi di successo dell’AI attuale scopriamo che, in realtà, già sta adottando l’integrazione di metodi simbolici e subsimbolici, proprio come noi esseri umani integriamo abilità diverse per risolvere i problemi.

In alcuni casi il processo è persino evidente. Per esempio, un robot impiega prima metodi subsimbolici per vedere gli oggetti e gli ostacoli che lo circondano, e successivamente strumenti di pianificazione (basati sulla logica) per formulare un piano d’azione che gli consenta di raggiungere uno o più obiettivi prefissati come arrivare all’oggetto, spostarlo, attraversare un ambiente raccogliendo altri oggetti o altro.

Ci sono anche situazioni in cui l’integrazione è ancora più eclatante e interessante. I metodi classici che vengono usati per la risoluzione di problemi si basano sulla possibilità di realizzare una descrizione formale della realtà e individuare una successione di transizioni in grado di mutare lo stato del sistema. Si tratta così di individuare una successione di azioni che porti dallo stato iniziale (attuale) a quello finale (desiderato). Un problema facilmente risolvibile quando gli stati e le transizioni hanno una numerosità trattabile.

Oggi abbiamo computer di notevole potenza che riescono ad affrontare molti problemi di planning con algoritmi del tipo riferito come “a forza bruta”. Tuttavia per problemi più complessi bisogna affidarsi a metodi che permettano di individuare la strada migliore, la transizione che più probabilmente porta al risultato, senza dover esaminare tutte quelle possibili.

I metodi che abbiamo usato in passato per trovare la strada migliore si basavano su ragionamenti logici, ricercando una funzione matematica che ci permettesse di stimare e trovare la strada migliore in modo analitico. Oggi invece cominciamo ad affidarci alle deep neural network addestrate per giudicare la singola transizione attraverso un processo continuo di apprendimento durante l’esecuzione del compito assegnato. Stiamo passando quindi da un ragionamento analitico alla percezione della situazione nel suo insieme: analogamente a come percepiamo e descriviamo una scena in una foto o in un filmato, lo stato intermedio in cui siamo in qualche maniera ci suggerisce l’intuizione di dove siamo e quanto manca alla locazione obiettivo.

Prendiamo il caso di AlfaGo, e il suo successore AlfaZero, creati dalla società DeepMind (oggi di proprietà di Google). Anche in questo caso la strategia di base è realizzata attraverso un “planner” cioè un programma capace di trovare la soluzione percorrendo un albero nello spazio degli stati, ognuno dei quali rappresentato da una configurazione precisa sulla scacchiera. Un gioco molto complesso da un punto di vista computazionale tanto che secondo diversi matematici il numero di combinazioni delle pedine sulla scacchiera del go potrebbe superare il numero di atomi che stimiamo esistano nell’universo. AlfaGo usa una deep neural network che impara a percepire la scacchiera come un insieme. La sua vera forza è la capacità di unire logica e intuizione; metodi simbolici e subsimbolici.

All’inizio di aprile 2019 un team di scienziati di Google ha annunciato invece di aver creato una applicazione di AI per la dimostrazione automatica di teoremi capace di realizzare senza alcun aiuto più di 1200 risultati corretti. Una soluzione che, come nei casi precedenti, mette insieme l’intuizione ossia le deep neural network per individuare la strategia sulla base di centinaia di esempi che costituiscono la sua base di apprendimento e la logica per procedere alla dimostrazione vera e propria.

Il vantaggio dell’integrazione dei metodi

Evidentemente una strategia di ricerca basata su ragionamento e intuizione è applicabile a molti problemi di ricerca complessi ed ha già applicazione anche in compiti che possono aiutarci nella nostra vita di tutti i giorni.

In tutti i problemi di scheduling, allocazione risorse scarse, ottimizzazione e pianificazione stiamo iniziando a integrare strumenti di ragionamento simbolico che individuano una soluzione, con reti neurali che ci aiutano a trovare la strada giusta, velocizzando il processo, e in alcuni casi, rendendolo possibile, dove prima risultava computazionalmente proibitivo.

La strategia è applicabile ai robot, ai veicoli autonomi, e altre macchine in cui è necessario procedere a definire un piano di azione, non solo con percezione della realtà e ragionamento, ma anche con la necessità di inserire durante il processo di costruzione del piano di azione, una certa dose di intuizione, di esperienza acquisita da esempi, tentativi, errori e successi.

È importante evidenziare anche che, in questa tipologia di applicazioni, la parte intuitiva, serve a scegliere la strada ottimale, ma il piano individuato, alla fine, può essere mostrato ad un utente, anche senza considerare l’intuizione che è stata utile a generarlo.

È una sequenza di azioni spiegabile con il ragionamento. Non è una scatola nera. La scatola nera, difficilmente spiegabile è la parte intuitiva che ci ha permesso di individuare la strada da percorrere. È una parte fondamentale e preziosa nel processo di creazione della soluzione, ma alla fine non ne rimane traccia.

Stiamo parlando di una metodologia innovativa che può essere usata in molti contesti. Anche questa, come altri paradigmi dell’AI, non ha una portata generale, non è adatta a risolvere qualsiasi problema. Dovrà essere usata in compiti specifici per i quali risulti appropriata. L’integrazione citata non è però l’unico modello capace di unire paradigmi simbolici e subsimbolici in intelligenza artificiale. È una modalità interessante e a portata di mano.

La ricerca deve infatti continuare, sollevando anche lo sguardo verso l’orizzonte e ipotizzando altre metodologie di integrazione per ottenere quelle capacità di astrazione e di individuazione di analogie fra campi diversi del sapere in cui le macchine risultano ancora carenti e di cui noi umani invece siamo capaci.

Campi di applicazione dell’intelligenza artificiale

Come già accennato, l’integrazione dei due paradigmi nel campo di ricerca delle soluzioni può avere applicazioni in moltissimi contesti: aiuto alla ricerca scientifica, ottimizzazione dei processi, di utilizzo di risorse scarse come la produzione e distribuzione di corrente elettrica, riduzione dello spreco di cibo, ottimizzazione dei trasporti, riduzione drastica della burocrazia inutile e molto altro.

Viviamo un momento particolare della nostra esistenza. La pandemia da Covid 19 sta mettendo in crisi il modello socio economico che ha rappresentato, per molti anni, una soluzione scarsamente discussa nel contesto politico, industriale e sociale. Anche se riusciremo a creare un vaccino in tempi relativamente brevi è evidente che il mondo non tornerà a funzionare come nell’epoca precedente all’insorgenza di questa malattia. Questo perché per la prima volta la parte “ricca” della società ha toccato con mano l’ineluttabile contro cui non c’è scampo. Da qui il bisogno di trovare nuovi modelli e nuove opportunità.

In primo luogo dobbiamo ridefinire quali sono le risorse scarse, quali dobbiamo ottimizzare, quali valori dobbiamo inserire in cima alle nostre priorità. Anche il campo medico necessita di nuovi sviluppi. Non possiamo più mostrarci con le difese alleggerite.

Ritengo però che dobbiamo concentrarci anche su altri obiettivi. Abbiamo bisogno di ottimizzare i nostri processi decisionali, di ridurre la burocrazia e i costi dei nostri sistemi di produzione. Abbiamo bisogno di ripensare il sistema economico, la globalizzazione non è più il modello unico di sviluppo, spazio anche a modelli locali di sviluppo e produzione. Tutto questo significa ovviamente pensare a nuovi servizi e nuovi prodotti, con attenzione agli impatti sul benessere, sulla salute e sul pianeta intero.

Mai come ora abbiamo quindi bisogno di creatività, intuizione e ragionamento. Dovremo descrivere di nuovo il contesto in cui viviamo con uno sforzo interdisciplinare per ideare nuove soluzioni.

L’intelligenza artificiale può costituire uno strumento prezioso per analizzare i dati, capire il contesto e cercare nuove strategie, ma per farlo dobbiamo integrare la capacità di reasoning e planning con quella di percezione immediata della realtà che ci circonda. Le macchine devono imparare dai nostri errori, simulare situazioni complesse e strategie di soluzione che ci portino dallo stato attuale verso una situazione più desiderabile.

La strada intrapresa è sicuramente ancora lunga, ma l’abilità di impiegare più tecniche nel modo corretto, come facciamo noi umani, anche se in contesti delimitati e ristretti, è indubbiamente un grande passo avanti.

Sta alla nostra intelligenza impiegarla al meglio.

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