La Commissione europea si aggiunge alle autorità poste a presidio dell’antitrust americano e britannico per approfondire i legami tra le due big tech Microsoft e OpenAI. Si tratta di un affare multimiliardario, a fronte dell’investimento di 13 miliardi di dollari che la multinazionale statunitense d’informatica avrebbe fatto con l’inventore di ChatGPT – OpenAI. Probabilmente uno degli investimenti più redditizi di questi ultimi tempi, complice anche la “prepotente” affermazione dell’intelligenza artificiale in questi anni. Ma andiamo per gradi.
All’esame della Commissione europea i rapporti contrattuali tra Microsoft e OpenAI: i punti di attenzione
La Commissione europea ha deciso di avviare una verifica sull’investimento di Microsoft in OpenAI. Lo può fare basandosi sul Regolamento UE sulle concentrazioni, il cd EU Merger regulation.
L’obiettivo è chiaro: rafforzare le tutele commerciali nel rispetto di un mercato che, in alcuni settori specialmente di frontiera come quello dell’intelligenza artificiale generativa, deve essere tanto competitivo quanto salvaguardato a livello concorrenziale.
Le indagini dell’Antitrust
Sono in corso indagini concorrenziali sulla partnership avvenuta tra Microsoft e OpenAI. La preoccupazione è chiara ed evidente: le autorità temono che da questo accordo il mercato possa subire uno squilibrio nella misura in cui le due big tech insieme di fatto, dal momento che non parrebbero esserci fusioni o acquisizioni in vista, possano determinare realizzando una posizione dominante; e sono indagini complicate anche per questo motivo.
In pratica, assistiamo a un investimento finanziario corposo (di molti miliardi di dollari) senza avere alcuna partecipazione azionaria tradizionale pur avendo diritto a una quota di profitti. Nel nostro sistema, si qualificherebbe in una forma di controllo indiretto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2359 c.c. (n.3) potendo Microsoft esercitare un’influenza dominante su OpenAI.
Mondi virtuali in via di sviluppo: quali tutele?
A dire della vicepresidente a capo delle politiche sulla concorrenza, Margrethe Vestager, i mondi virtuali in generale e l’AI generativa più nel dettaglio, vanno regolamentati in mercati sì competitivi, ma non ostacolanti.
Di qui, l’invito a imprese ed esperti a sollevare eventuali problemi concorrenziali sulla scorta del principio secondo cui: chi meglio di colui che vive un mercato è in grado di coglierne gli aspetti, financo patologici? Ecco, il lancio dei due bandi/inviti ai più grandi player digitali, con i quali la Commissione europea chiede agli aspiranti partecipanti di fornire contributi sulla concorrenza nei mondi virtuali e sull’AI generativa per ottenere un ritorno di informazioni/opinioni. É semplice, basta condividere l’esperienza vissuta e fornire feedback circa il livello di concorrenza nel contesto di riferimento.
Se i mondi virtuali sono “ambienti persistenti e immersivi”, basati su tecnologie come 3D e realtà aumentata (Xr), in grado di fondere mondi fisici e digitali in tempo reale, occorre quanto mai monitorare attentamente partnership di questo tipo al fine di “garantire che [partnership di questo tipo] non distorcano indebitamente le dinamiche del mercato”, ritiene la Vestager.
La partnership tra le due società
Tra Microsoft e OpenAI, al momento non c’è nessuna fusione di tipo societario. Ciò che sappiamo, da fonti verosimilmente attendibili, è che nel dicembre scorso il presidente di Microsoft ha affermato che il rapporto con OpenAI è “molto diverso da un’acquisizione”. Nulla dice sulla fusione.
Sulla fusione transfrontaliera, più in generale, rammentiamo che esiste la Direttiva europea n. 2019/2121 la quale ha esteso l’ambito dell’intervento di armonizzazione, anche alle operazioni di trasformazione e scissione (transfrontaliera), onde assicurare una maggiore mobilità nel mercato unico europeo. In questo modo, il legislatore sovranazionale intende offrire alle società operanti nel mercato interno e nello spazio economico europeo – SEE, nuove possibilità di crescita economica, di concorrenza leale, ma effettiva, senza tuttavia rinunciare a elevati livelli di protezione sociale oltre a un’adeguata tutela ai portatori di interessi come lavoratori, creditori e soci.
Al netto di queste considerazioni teorico-normative, qui, la sostanziale preoccupazione risiede nel cd “potere di condizionamento” di una società nei confronti dell’altra attraverso rapporti contrattuali (ex art. 2359, III co, Cod. Civ.).
Infatti, la preoccupazione delle autorità è che non si crei, come evidenziato in principio, una distorsione del mercato attraverso operazioni economiche diverse dalla fusione. La fusione fra società è infatti un’operazione trasparente, in quanto normata, peraltro sottoposta ad attività di vigilanza preventiva, a maggior ragione se l’operazione fosse per aziende di grandi dimensioni. Lo stesso avviene nel caso di acquisto di pacchetti azionari di società quotate in borsa da parte di altre società (cd “scalate”). Anche queste sono operazioni più facili da controllare e prevedibili nei loro effetti.
Molto più complesso invece è la verifica (di solito a posteriori) dell’esistenza di rapporti giuridico-contrattuali stretti tra due società tale per cui una, di fatto, esercita un condizionamento sull’altra.
Nel caso di specie, dunque, un finanziamento pari a tredici milioni di euro non può dirsi di scarso rilievo da un lato; e dall’altro la reciproca dimensione economica finanziaria delle due società in questione assume una quale certa rilevanza. Sarà interessante seguire gli ulteriori sviluppi.
Conclusioni
In conclusione, dunque, il vero problema che ruota intorno a tutta questa vicenda non è tanto se sia in potenza o in atto un’operazione di tipo societario, ovvero quale sia la reale natura giuridica dell’accordo siglato, il relativo contenuto e la vera motivazione per la quale esso sia stato raggiunto, quanto piuttosto il peso di una partnership del genere sul mercato. Di qui, la preoccupazione di fondo delle autorità Antitrust coinvolte.
Senza contare, da ultimo, che non sarebbe la prima volta che queste due big tech finiscono sotto i riflettori delle autorità. Ricordiamo infatti che non più tardi dello scorso dicembre (2023), l’Autorità Antitrust – CMA del Regno Unito, ha invitato le terze parti interessate a esprimersi nel merito della partnership con focus sull’impatto di una siffatta e potenziale acquisizione sul mercato britannico. Insomma, una storia che si ripete.