Per ogni azienda il customer service è sempre stata una attività indispensabile, per “curare”, mantenere, fidelizzare i propri clienti, nella consapevolezza che un customer service insoddisfacente o inesistente ha come riflesso una perdita di reputation non solo presso la clientela acquisita ma in generale sul mercato cui ci si rivolge.
Il rovescio della medaglia è che gestire al meglio il proprio customer service è diventata un’attività estremamente complessa e onerosa: tanto più i clienti si muovono in logiche multicanale, tanto più si moltiplicano i touchpoint fisici e digitali, tanto più diventa indispensabile per le aziende tenere traccia di tutto quanto accade.
Non stupisce dunque che negli anni molti investimenti siano stati indirizzati al raggMiungimento di economie di scala e alla riduzione dei costi associati al soddisfacimento delle richieste dei clienti attraverso soluzioni automatizzate e self-service: dalle FAQ, alle App, fino ad arrivare ai chatbot e alle interfacce conversazionali, che rappresentano già una prima risposta a tutti quegli utenti che nel momento in cui hanno un problema preferiscono un “contatto personale” che li aiuti nella sua risoluzione. Utenti piuttosto numerosi, per altro. Se prendiamo come riferimento un articolo pubblicato da Forbes lo scorso anno proprio sul customer service e sulle relazioni tra i clienti e i loro fornitori emerge infatti che i cosiddetti “eroi del fai-da-te” sono circa un quarto del campione, affiancati da coloro che preferiscono comunicare attraverso piattaforme digitali, come email chat o social media. Circa la metà dei rispondenti, invece, resta saldamente convinto che l’interazione umana, telefonica o vis-à-vis, resti comunque l’opzione migliore.
Il ruolo dei dati
In ogni caso, alla base di un customer service efficiente ci sono sempre i dati. Un customer service funziona se i processi e gli eventi vengono costantemente monitorati e misurati. Tanto più un’azienda si muove in scenari globali, tanto più il suo customer service dipende dalle informazioni provenienti da un ecosistema complesso, che comprende call center, centri servizi, partner logistici, partner commerciali.
Troppo complesso per essere gestito da operatori umani, ma sicuramente terreno interessante di applicazione per l’Intelligenza Artificiale (AI).
Secondo uno studio pubblicato pochi mesi fa da McKinsey e intitolato “Notes from the AI Frontier: Applications and Value of Deep Learning”, l’Intelligenza Artificiale può essere utilizzata per migliorare le performance delle tecniche di analisi esistenti.
Per questo motivo, sempre secondo lo studio di McKinsey, può rappresentare uno strumento particolarmente efficace nella gestione del customer service e in tutti quei casi in cui si voglia o si debba offrire un servizio sempre più personalizzato ai propri clienti. Applicazioni di speech recognition integrate nei call center e nelle funzionalità di indirizzamento delle chiamate alleggeriscono il carico di lavoro del personale, assicurano una gestione più efficace, offrendo allo stesso tempo all’utente un’esperienza positiva.
Similmente, è possibile utilizzare un agente intelligente per la lettura delle email indirizzate al customer service: grazie alle funzionalità di scanning e tagging automatico, il sistema indirizza direttamente le email ai tecnici o ai dipartimenti che possono prendere in carico la richiesta, riducendo i tempi di un servizio davvero time-consuming, in particolare per le realtà di più grandi dimensioni.
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Customer service e AI: il punto di incontro tra uomo e macchina
Già un paio di anni fa, Gartner evidenziava come con la crescita e la diffusione dei canali digitali, le relazioni tra le aziende e i loro clienti sarebbero cambiate in modo sempre più significativo. In particolare, secondo la società di ricerca, le telefonate dai clienti ai call center sarebbero diminuite drasticamente: dal 35 per cento del 2016 al 10 per cento nel 2020. Tutte le altre interazioni sarebbero destinate a svolgersi attraverso canali digitali, come social media, chatbot, strumenti online.
“Le interazioni umane diventeranno sempre più rare e per questo assumeranno un valore sempre maggiore”, sostiene Gartner. “Le aziende che sapranno capire qual è il momento giusto per un intervento personale sul cliente, avranno il miglior ritorno in termini di soddisfazione e di reputazione”.
Detto in altri termini, i clienti tenderanno a rivolgersi ai call center quando si troveranno di fronte a problemi complessi, che non potranno risolvere attraverso servizi o piattaforme self-service.
Attenzione, però.
Per quanto consapevoli della complessità del loro problema, i clienti non hanno pazienza.
È ancora il già citato articolo di Forbes che ci dice che il livello di insoddisfazione dei clienti cresce quando la soluzione al loro problema richiede più di 10 minuti per essere trovata. Per non parlare di tutti quei casi in cui la soluzione non arriva al primo tentativo e dunque il cliente è costretto a effettuare diversi tentativi di contatto, a volte anche attraverso canali che non gli sono graditi.
Ed è qui che, di nuovo, l’Intelligenza Artificiale mette in campo le sue potenzialità.
L’AI supporta infatti gli operatori dei call center processando le richieste in ingresso, analizzandone il contenuto e suggerendo all’operatore come rispondere. Le analisi prescrittive e predittive identificano i pattern e offrono all’operatore del customer service preziosi insight sui clienti e sui loro comportamenti, mentre le analisi basate sul deep learning dell’audio consentono di comprendere anche il tono emotivo del cliente, abilitando, ad esempio, l’automatico indirizzamento della chiamata a un operatore umano nel caso in cui il tono sia particolarmente esasperato o arrabbiato.
Cosa fa, in concreto, l’AI?
Nell’ambito dei customer service, gli agenti intelligenti aggiungono interfacce conversazionali ai contenuti statici. Gli agenti sono in grado di “ingerire” dati da decine di fonti di informazioni, così da valutare per ciascun cliente le precedenti interazioni, le sue preferenze, il contesto, il tutto con l’obiettivo di dare risposte in tempi rapidi, o addirittura inviare allarmi preventivi, non solo al fine di evitare frustrazione, scontento e senso di abbandono, nel cliente, ma anche di elevare il suo livello di soddisfazione, grazie a un atteggiamento proattivo.
Ma non è tutto.
Prendiamo ad esempio in esame il caso di un’azienda multisede, con presenza in diversi mercati nel mondo. La gestione del customer service rappresenta senza alcun dubbio una criticità e un onere non da poco: il servizio deve essere localizzato ed erogato attraverso differenti geografie e fusi orari.
Grazie all’intelligenza artificiale è possibile attingere ai diversi repository di informazioni disseminati all’interno e all’esterno del perimetro aziendale, così da mettere a punto le risposte corrette alle domande ripetitive o più frequenti, erogabili automaticamente, a questo punto, attraverso tutti i touchpoint: email, chat, supporto telefonico in tutto il mondo, a qualunque ora, senza intervento umano e con la massima copertura possibile.
Afferisce sempre al mondo del customer service, in questo caso in una logica più vicina al marketing, anche il grande tema delle recommendation. In questo caso, si tratta di correlare informazioni di tipo demografico con quelle relative alle transazioni effettuate in passato dal cliente, con l’obiettivo di consigliare quale prodotto acquistare, in una logica “Next Product to Buy”. L’esperienza sin qui maturata da realtà come Amazon o Netflix lascia ipotizzare che un buon motore di recommendation può aiutare a raddoppiare il tasso di conversione di un cliente.
Un po’ di sano realismo
Nonostante tutte le premesse, non è realistico aspettarsi che un’applicazione AI possa immediatamente integrarsi nei processi aziendali e prendere in carico la gestione del customer service. È chiaro che i modelli di Intelligenza Artificiale devono essere istruiti e raffinati, per poter gestire i business case specifici di ciascuna azienda. Per questo è importante partire fin dall’inizio con la creazione di repository di dati, processi e meccanismi che possano aiutare i modelli di AI a imparare più velocemente.
A che punto è l’Italia
Secondo i dati dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, che ha analizzato 721 imprese italiane con l’obiettivo di identificare i livelli e le classi di adozione dell’Intelligenza Artificiale nel mondo delle aziende, a oggi il 56 per cento delle imprese ha già avviato progetti di Intelligenza Artificiale.
Dall’analisi emerge che il 25 per cento dei progetti possono essere ricondotti al mondo dei virtual assistant/chatbot, vale a dire “agenti software in grado di eseguire azioni e/o erogare servizi a un interlocutore umano, basandosi su comandi e/o richieste recepiti attraverso una interazione in linguaggio naturale (scritto o parlato)”.
Anche l’Osservatorio sottolinea come, nella loro forma più evoluta, questi sistemi si contraddistinguano “per la loro capacità di comprendere tono e contesto del dialogo, memorizzare e riutilizzare le informazioni raccolte e dimostrare intraprendenza nel corso della conversazione”. Non a caso, dunque, vengono utilizzati come primo livello di contatto con il cliente che si rivolge al Customer Care aziendale.
A questo 25 per cento va poi aggiunto un ulteriore 10 per cento di applicazioni indirizzate, in questo caso, alle recommendation. L’Osservatorio prende a esempio il caso delle piattaforme di video on demand per spiegare come si faccia riferimento a “soluzioni orientate a indirizzare le preferenze, gli interessi o più in generale le decisioni dell’utente, basandosi su informazioni da esso fornite, in maniera indiretta o diretta”. Il risultato sono, per l’appunto, raccomandazioni personalizzate “che possono collocarsi in punti differenti del customer journey o, più in generale, del processo decisionale”.
L’ora dei chatbot
Possiamo definirli un vero e proprio fenomeno, dati i tassi di crescita e l’interesse che hanno cominciato a raccogliere negli ultimi due o tre anni.
Tecnicamente, quando parliamo di chatbot ci riferiamo a un’applicazione che apre un canale conversazionale con un utente, attraverso messaggistica, App e – in modo più graduale – voce.
Non si tratta di una tecnologia davvero nuova, dal momento che il primo esempio di chatbot risale addirittura al 1966. E aveva persino un nome: Eliza.
Col tempo le chatbot si sono evolute, integrando tecnologie sempre più sofisticate sia per comprendere le domande, sia per dare risposte sempre più rilevanti e pertinenti.
In un contesto di customer service, i chatbot sono la combinazione di tre elementi chiave.
In primo luogo la User Interface, l’interfaccia utente, attraverso messaggistica, chat, sito web e, sempre più frequentemente, voce.
Per comprendere le richieste del cliente si usano tecniche NLP, di comprensione del linguaggio naturale, mentre l’Intelligenza Artificiale viene utilizzata da un lato per l’elaborazione di risposte che tengono in considerazione informazioni, pregresso e contesto, dall’altro per rendere sempre più “naturale” il livello della conversazione.
Il secondo elemento è rappresentato dall’intelligenza, o, per essere più precisi, dall’Intelligenza Artificiale, che consente alla chatbot di comprendere e risolvere i problemi del cliente, imparando da ogni interazione. La vera differenza rispetto al passato è che, invece che utilizzare regole predefinite in un albero decisionale, sempre più spesso si utilizzando algoritmi di machine learning.
Il terzo elemento, infine, è rappresentato dall’integrazione: la massima efficacia di un chatbot si raggiunge quando è possibile integrarla con altri sistemi aziendali e con i dati provenienti da molteplici fonti e nel momento in cui è possibile abilitarne l’accesso diretto all’operatore umano, per scalare i quesiti più complessi.
Teorema e On-Bot, il chatbot a misura di PMI
Nonostante gli use case siano ben chiari, così come gli obiettivi, uno dei timori che ancora tengono lontane le aziende dall’adozione delle chatbot e dei sistemi di Intelligenza Artificiale per i loro customer service è che si tratti di soluzioni alla portata – economica e tecnologica – delle sole grandi organizzazioni.
Idea che Teorema, system integrator Triestino e partner storico di Microsoft, è pronta a confutare. La società ha infatti realizzato On-Bot, un chatbot sviluppato sul motore di intelligenza artificiale di Microsoft Azure indirizzato a tutte le tipologie di imprese, anche quelle di dimensioni più piccole.
Spiega Sergio Aguiari, Account Manager ed esperto del prodotto: “Con On-Bot noi cambiamo i vecchi modelli. Parliamo di un prodotto, non di una soluzione, alla portata di tutte le imprese e implementabile in pochi giorni. Abbiamo sviluppato On-Bot pensando proprio a chi vuole partire con progetti più brevi e facilmente budgetabili”.
Di fatto, On-Bot è una soluzione di Q&A che sfrutta Azure Search, è in grado di effettuare analisi di contesto e può essere integrata in una Intranet aziendale e indirizzata a una specifica funzione.
È in grado di interpretare il linguaggio naturale, fornire risposte a chi cerca informazioni oppure indirizzarne la navigazione sulla base di analisi e contestualizzazioni.
“Come per ogni soluzione di questo tipo, la fase strategica è quella che mi piace definire di Ignoranza Artificiale, vale a dire il momento in cui il motore di Machine Learning viene istruito. Una volta superata questa prima fase, i risultati ci sono: riduzione dei tempi dedicati al customer service, all’assistenza, alle risposte e a tutte quelle attività che oggi vengono ancora svolte manualmente”.