In modo semplicistico si potrebbe descrivere un qubit, come un’entità che si comporta come se si trovasse in 0 e 1 contemporaneamente. Tuttavia negli anni ’70, i ricercatori crearono la teoria della cromodinamica quantistica (QCD), anche se il problema è che mentre la teoria sembra accurata, invece è straordinariamente complicata dal punto di vista matematico. I fisici hanno cercato di trovare una descrizione in grado di gestire questi nuovi elementi costitutivi e sono riusciti a racchiudere tutti i dettagli dei quark e la “forza forte“, che li lega, in un’equazione compatta nel 1973. Ma la loro teoria della “forza forte”, ossia la cromodinamica quantistica, non si è comportata nel solito modo, e nemmeno le particelle hanno comportamenti analoghi.
Cos’è un qubit
I diagrammi di Feynman trattano le particelle come se interagissero avvicinandosi a distanza, come palle da biliardo. In mancanza di tale soluzione, i fisici delle particelle hanno sviluppato soluzioni alternative, che forniscono risposte approssimative. Alcuni deducono sperimentalmente l’attività dei quark nei collettori di particelle, mentre altri sfruttano i supercomputer più potenti del mondo. Ma queste tecniche di approssimazione sono recentemente entrate in conflitto, lasciando i fisici incerti sui risultati in grado di interpretare i movimenti delle particelle, che sono nuovi e non previsti. “È allettante e frustrante”, ha dichiarato Mark Lancaster, fisico delle particelle presso l’Università di Manchester nel Regno Unito. “Sappiamo assolutamente che quark e gluoni interagiscono tra loro, ma non possiamo calcolare il risultato”.
L’entanglement quantistico è un tipo speciale di sovrapposizione tra due o più qubit, sfruttando l’interazione con i qubit si possono eseguire calcoli estremamente difficili, che altrimenti non sarebbero possibili. L’idea dei computer quantistici può essere fatta risalire al fisico e premio Nobel Richard P. Feynman. In un documento datato 1982, Feynman postulò questo: “per simulare i sistemi quantistici su una macchina, dovrebbe essere necessario costruire computer quantistici”. La potenza dei computer quantistici si misura in numero di qubit, che lavorano nella stessa macchina.
Nel 1994 il matematico americano Peter Shor progettò un protocollo pioneristico, che fu la prima chiara minaccia da parte dei computer quantistici alla crittografia classica. L’algoritmo di Shor è un algoritmo che agisce sui polinomi, che può essere eseguito su qualsiasi computer quantistico e risolvere il problema della fattorizzazione dei numeri interi.
La prima macchina quantistica è stata implementata nel 1998 come un registro a 2 Qubit.
Il valore di un qubit
Nel frattempo, i ricercatori con mentalità squisitamente matematica non hanno del tutto disperato di trovare una strategia con penna e carta per calcolare la “forza forte”, per una previsione rigorosa della massa dell’insieme più leggero possibile di quark o gluoni, avvalendosi anche dell’algebra dei Bosoni e Fermioni, tramite cui si valuta lo “Spin” dell’elemento sulla Sfera di Poincaré o Stokes, calcolando il momento angolare del fotone. Dato che un umile elettrone, durante la breve vita del fotone, può brevemente emettere e quindi assorbire un fotone, può anche dividersi in una coppia di particelle materia-antimateria, ognuna delle quali può impegnarsi in ulteriori acrobazie, all’infinito. Quindi uno dei passi nel mondo teorico è uno strumento chiamato principio olografico. La strategia generale è quella di tradurre il problema in uno spazio matematico astratto, in cui un ologramma di quark può essere separato l’uno dall’altro, consentendo un’analisi in termini di diagrammi di Feynman, utilizzando i quali ci si trova sul confine dell’Universo in assenza della variabile del tempo, ossia avendo la possibilità di percorrere sul diagramma l’asse temporale in entrambi i versi.
Per ora, i teorici continueranno a perfezionare i loro strumenti imperfetti e sognano nuove macchine matematiche in grado di domare i quark fondamentali ma inseparabili. “Sarebbe il Santo Graal”, dice Tanedo, dell’Università della California, a Riverside, “la cromodinamica quantistica (QCD) ci sta solo chiedendo di capire come funzioni davvero”. Con riferimento al sistema di riferimento cartesiano sulla Sfera di Bloch o Stokes si individua il vettore astratto, che si muove secondo le tre direzioni [Rif.1].
I nuovi computer quantistici funzionano con paradigmi totalmente nuovi rispetto ai computer classici, sfruttando fenomeni quantomeccanici come la sovrapposizione quantistica degli stati ed entanglement, applicando il concetto di qubit, inoltre essi usano oggetti come gli elettroni, le molecole, i fotoni o persino piccoli circuiti elettronici con effetti quantistici, che utilizzano il concetto di Spin, che è una rotazione dell’elettrone, considerando leggi fisiche diverse da quelle utilizzate.
Tramite una rappresentazione artistica della sfera di Bloch, si possono individuare i due poli della sfera, che corrispondono agli stati puri , mentre i punti sull’equatore corrispondono ad una sovrapposizione omogenea degli stati .
Come funziona il qubit
Un bit classico è rappresentato da un sistema che può esistere in due stati diversi, come ad esempio un circuito, in cui passa o meno corrente, invece un qubit (Quantum Bit) è rappresentato da un sistema quantistico a due livelli in uno spazio di Hilbert bidimensionale. In questo spazio risulta possibile scegliere una coppia di vettori di base ortonormali per rappresentare i corrispondenti valori 0 e 1 del bit classico. Questi due stati rappresentano la base computazionale e un qualsiasi stato di ogni qubit può essere scritto come: |𝜓⟩ = 𝛼|0⟩ + 𝛽|1⟩con la condizione di normalizzazione: |𝛼|2 + |𝛽|2 = 1.
Tuttavia, a differenza di un bit classico, un qubit vive in uno spazio vettoriale parametrizzato da variabili continue (ad esempio 𝛼 e 𝛽); ); di conseguenza, per i postulati della meccanica quantistica, può venire a trovarsi non solo nello stato |0⟩ o nello stato |1⟩, ma in una qualsiasi sovrapposizione di questi stati. A questo punto si potrebbe essere tentati di affermare che un singolo qubit sia in grado di immagazzinare una quantità infinita di informazione classica, ma ciò risulta scorretto, in quanto sarebbero necessarie infinite misure su singoli qubit, preparati tutti nello stesso stato per ottenere il giusto valore di 𝛼 e 𝛽. Quindi il vero tallone d’Achille dell’utilizzo del qubit è la sua misurazione, che richiede delle imponenti risorse tecnologiche, che hanno un ingente costo economico.
Gli stati
Percorrendo un ragionamento analitico per poter estrarre gli stati di un qubit, si può considerare un sistema a due livelli [Rif.1], il quale può essere utilizzato come qubit se è possibile effettuare le seguenti operazioni:
- il sistema può essere preparato in uno stato noto, detto anche stato puro o di fiducia del qubit;
- ogni stato del qubit può essere trasformato in un altro attraverso una trasformazione unitaria;
- lo stato del qubit dopo ogni trasformazione può essere misurato in riferimento alla base computazionale (|0⟩ , |1⟩).
Risulta più immediato e semplice utilizzare una rappresentazione geometrica del qubit e delle trasformazioni che operano sul suo stato; infatti, la condizione di normalizzazione:
|𝑣⟩ ⊗ ( |𝑤1⟩ + |𝑤2⟩ ) = |𝑣⟩ ⊗ |𝑤1⟩ + |𝑣⟩ ⊗ |𝑤2⟩
costringe il vettore di stato a muoversi su una sfera di raggio unitario, detta anche sfera di Bloch o Stokes. Utilizzando le coordinate polari sferiche la sfera di Bloch può essere immersa in uno spazio tridimensionale di coordinate cartesiane: x = cosΦ sinθ , y =sinΦ sinθ , z = cosθ, di conseguenza un vettore di Bloch è caratterizzato dai due parametri angolari (θ,Φ) oppure dalle tre coordinate cartesiane (x,y,z) con la condizione di normalizzazione: 𝑥2 + 𝑦2 + 𝑧2 = 1.
Infine sfruttando una sovrapposizione degli stati della base computazionale risulta possibile generare stati non separabili, ad esempio:
𝐶𝑁𝑂𝑇(𝛼|0⟩ + 𝛽 |1⟩)|0⟩ = 𝛼 |00⟩ + 𝛽 |11⟩.
Differenza tra qubit e bit
Il qubit, come il bit convenzionale, ha anche due stati di base. Sebbene una varietà di oggetti fisici possa ragionevolmente servire come bit quantici, la cosa più semplice da usare è il momento angolare interno o spin dell’elettrone, che ha la peculiare proprietà quantistica di avere solo due possibili proiezioni su qualsiasi asse di coordinate: +1/2 o –1/2 (in unità della costante di Planck). Indipendentemente dall’asse scelto, puoi indicare i due stati quantici di base dello spin dell’elettrone come ↑ e ↓.
Operando con un sistema classico non è difficile costruire un circuito in grado di duplicare uno o più bit, il circuito viene detto di FAN-OUT e si realizza semplicemente sdoppiando i fili di collegamento. Invece, come già affermato a partire dal terzo postulato della meccanica quantistica (valor medio dell’osservabile A), le misure quantistiche sono tipicamente distruttive, ovvero alterano lo stato del sistema misurato. Di conseguenza non è possibile costruire un gruppo di copie identiche (cloni) di uno stato quantistico sconosciuto; in aggiunta se per assurdo si potesse costruire una “macchina quantistica clonatrice” la meccanica quantistica sparirebbe. Questo risultato è stato provato per la prima volta nel 1982 da Wootters, Zurek e Dieks ed è noto col nome di Teorema No-Cloning (https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0030401800006118 Optics Communications Volume 179, Issues 1–6, 25 May 2000, Pages 581-589 Schroedinger cat states and optimum universal quantum cloning by entangled parametric amplification Francesco De Martini, Valentina Mussi, Fabio Bovino).
Ecco il punto dove le cose si fanno strane. Con il bit quantico, questi due stati non sono i soli possibili. Questo perché lo stato di spin di un elettrone è descritto da una funzione d’onda di meccanica quantistica. E quella funzione coinvolge due numeri complessi, α e β (chiamati ampiezze quantiche), che essendo numeri complessi hanno parti reali e parti immaginarie. Quei numeri complessi, α e β, hanno ciascuno una certa grandezza e secondo le regole della meccanica quantistica, le loro magnitudini al quadrato si devono sommare fino a 1. Questo perché quelle due magnitudini al quadrato corrispondono alle probabilità che lo spin dell’elettrone si trovi negli stati base ↑ e ↓ quando lo si misura. E poiché questi sono gli unici risultati possibili, le due probabilità associate si devono sommare ad 1. Ad esempio, se la probabilità di trovare l’elettrone nello stato ↑ è 0,6 (60 percento), allora la probabilità di trovarlo nello stato ↓ deve essere 0,4 (40 percento), nient’altro avrebbe senso. Contrariamente a un bit classico, che può trovarsi solo in uno dei suoi due stati di base, un qubit può trovarsi in uno qualsiasi del continuum di stati possibili, come definito dai valori delle ampiezze quantiche α e β. Questa proprietà è spesso descritta dall’affermazione piuttosto mistica e intimidatoria secondo cui un qubit può esistere simultaneamente in entrambi i suoi stati ↑ e ↓.
Proprio come sembra, la meccanica quantistica spesso sfida l’intuizione. Ma questo concetto non dovrebbe essere espresso in un linguaggio così criptico. Invece, se si pensa ad un vettore posizionato nel piano x-y e inclinato di 45 gradi rispetto all’asse x, qualcuno potrebbe dire che questo vettore punta contemporaneamente in entrambe le direzioni x e y. Questa affermazione è vera in un certo senso, ma non è davvero una descrizione utile. Descrivere un qubit come simultaneamente in entrambi gli stati ↑ e ↓ sembrerebbe altrettanto utile. Eppure, per i divulgatori è diventato quasi di rigore descriverlo come tale.
In un sistema con due qubit, ci sono 22 o 4 stati di base, che possono essere scritti (↑↑), (↑ ↓), (↓ ↑) e (↓↓). Naturalmente, i due qubit possono essere descritti da una funzione d’onda quantistica-meccanica che coinvolge quattro numeri complessi. Nel caso generale di N qubit, lo stato del sistema è descritto da numeri complessi 2N, che sono limitati dalla condizione, che le loro magnitudini al quadrato debbano riportare come somma 1.
Mentre un computer convenzionale con N bit in un dato momento deve trovarsi in uno dei suoi stati 2N possibili, lo stato di un computer quantistico con N qubit è descritto dai valori delle ampiezze quantiche 2N, che sono parametri continui, che possono prendere su qualsiasi valore, non solo uno 0 o un 1. Questa è l’origine del presunto potere del computer quantistico, ma è anche la ragione della sua grande fragilità e vulnerabilità.
Al contrario, la teoria dell’informatica quantistica non sembra incontrare alcuna sostanziale difficoltà nel gestire milioni di qubit. Negli studi sui tassi di errore, ad esempio, vengono considerati vari modelli di rumore. È stato dimostrato, in base a determinati presupposti, che gli errori generati dal rumore “locale” possono essere corretti con metodi attentamente progettati e molto ingegnosi, che comportano, tra l’altro, un enorme parallelismo, con molte migliaia di porte applicate contemporaneamente a diverse coppie di qubit e anche molte migliaia di misurazioni effettuate contemporaneamente.
Conclusioni
Un decennio e mezzo fa, il gruppo di esperti di ARDA ha osservato che “è stato stabilito, secondo determinate ipotesi, che se fosse possibile ottenere una precisione di soglia per le operazione di gate, la correzione di errori quantistici consentirebbe a un computer quantistico di calcolare in modalità indefinita”, le parole chiave sono “in base a determinati presupposti”. Quel gruppo di illustri esperti non ha tuttavia affrontato la questione se tali presupposti possano mai essere veramente soddisfatti, ma sembrerebbe che altri studiosi sostengano che non possono, “ai posteri l’ardua sentenza” tramite la realizzazione dei primi veri computer quantici utilizzabili ed acquistabili “on the shelf”.
Nel mondo fisico, le quantità continue, siano esse tensioni o i parametri che definiscono le funzioni d’onda quantomeccanica, non possono essere né misurate né manipolate esattamente. Cioè, nessuna quantità continuamente variabile può essere fatta per avere un valore esatto, incluso lo zero. Per un matematico, questo potrebbe sembrare assurdo, ma questa è la realtà indiscutibile del mondo in cui viviamo, come sa ogni ingegnere.
Note
- Lezioni MASTER OQI aa. ’18-’19 (QUANTUM INFORMATION)