Il concetto di “cyborg” è presente nell’immaginario comune grazie alla diffusione, negli ultimi anni, di contenuti, come film, serie tv e videogame, a tema futuristico.
Quando si parla di cyborg è immediata l’associazione con personaggi iconici della storia della cinematografia, come il Terminator magistralmente interpretato da Arnold Schwarzenegger, dotato di capacità ben superiori alla norma grazie all’impianto di innesti cibernetici.
Tuttavia, come si avrà modo di analizzare nel seguito, senza pretesa di esaustività e completezza, il concetto di cyborg copre uno spazio ben più ampio di quello che tradizionalmente si osserva al cinema.
Cosa significa cyborg
Con il termine “cyborg” ci si riferisce, in linea generale, a un organismo che combina parti organiche a parti meccaniche. In altre parole, un organismo che ha sia caratteristiche naturali che artificiali, grazie alla presenza di innesti che siano in grado di comunicare in modo attivo (è il caso tipico delle protesi meccaniche innestate sul corpo umano).
Il termine cyborg, un’abbreviazione dell’inglese “cybernetic organism” (organismo cibernetico) nasce nel campo della medicina e della bionica, grazie agli scienziati Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline, che nel 1960 perseguivano l’obiettivo di un essere umano potenziato, che fosse in grado di sopravvivere anche in ambienti extraterrestri generalmente inospitali. I due scienziati ritenevano, in particolar modo, che l’interazione tra l’uomo e le macchine fosse la chiave per poter esplorare lo spazio in un futuro prossimo.
Tuttavia, nella letteratura della metà del 1800 figuravano già alcuni uomini-macchina, dotati di protesi o di parti meccaniche che ne ampliavano le capacità.
Dall’idea di Clynes e Kline, orientata all’esplorazione spaziale, si è passati a una definizione più comune, che vede il cyborg non come un essere umano “potenziato”, un “superuomo”, ma come un soggetto che fa uso della tecnologia per ristabilire funzionalità del corpo umano perse o parzialmente danneggiate.
È possibile affermare, dunque, che oggi il confine tra uomo e “cyborg” (inteso, questo, nell’accezione più classica dell’uomo cibernetico potenziato) è sempre più sottile, e colmo di sfaccettature, grazie proprio all’introduzione di nuovi materiali, tecnologie e strumenti informatici.
Tipologie di cyborg
In medicina, si identificano due tipologie principali di cyborg:
- “restorative cyborg”: trattasi di soggetti che fanno uso di protesi o innesti cibernetici per garantire il corretto e fisiologico funzionamento del proprio corpo. Ciò si rende possibile grazie al costante sviluppo tecnologico, che ha permesso alla medicina di ideare protesi perfettamente funzionanti e sostitutive di parti del corpo umano. Per assurdo, anche una persona dotata di un pacemaker potrebbe ritenersi rientrante nella definizione di cyborg, essendo dotata di una parte meccanica integrata nel proprio organismo. Alcuni di loro hanno dispositivi meccanici impiantati nelle orecchie per migliorare l’udito e superare la sordità, indossano lenti a contatto, hanno una pompa per l’insulina che li aiuta a controllare il diabete o un cuore artificiale che mantiene stabile la circolazione del sangue nel corpo.
- “enhanced cyborg”, ovvero soggetti che fanno uso di innesti cibernetici allo scopo di migliorare funzionalità come vista o udito, secondo un principio di “ottimizzazione delle prestazioni umane”, o superamento dei normali processi. I sostenitori di tale tipologia di cyborg sposano la convinzione che le nuove tecnologie possano aiutare l’uomo a svilupparsi oltre i suoi limiti naturali, come l’invecchiamento e le malattie, e implementare capacità come la forza, la resistenza e l’intelligenza.
Prescindendo dai risvolti etico-filosofici che sono connessi alla definizione di cyborg e alle potenzialità umane, non può che osservarsi favorevolmente come, nella medicina tradizionale, l’utilizzo di componenti meccaniche e digitali abbia consentito di fare notevoli passi avanti nel trattamento di malattie gravi e invalidanti.
La stimolazione cerebrale profonda, in particolare, è una procedura chirurgica neurologica utilizzata a fini terapeutici, che ha aiutato a trattare numerosi pazienti cui erano state diagnosticate malattie come il morbo di Parkinson, morbo di Alzheimer, sindrome di Tourette, epilessia, mal di testa cronico e disturbi mentali. Tramite la stimolazione cerebrale profonda, una volta anestetizzato e reso incosciente il paziente, vengono impiantati pacemaker cerebrali o elettrodi nella regione del cervello nella quale è localizzata la causa scatenante della malattia; la regione del cervello designata viene quindi stimolata da scariche di corrente elettrica atte a interrompere l’imminente ondata di convulsioni. Trattasi, come evidente, di una procedura particolarmente invasiva, con rischio maggiore rispetto ai più tradizionali trattamenti farmacologici, ma che negli ultimi anni viene studiata come possibile alternativa rispetto a questi ultimi.
Anche gli impianti retinici sono una possibile forma di cyborgizzazione in medicina. La teoria posta alla base della stimolazione retinica, per restituire la vista alle persone che soffrono di retinite pigmentosa e perdita della vista dovuta all’invecchiamento (condizioni in cui le persone hanno un numero anormalmente basso di cellule gangliari retiniche) è quella per cui l’impianto retinico e la stimolazione elettrica agiscono come un sostituto per le cellule gangliari (cellule che collegano l’occhio al cervello) mancanti.
Peter Scott-Morgan, l’uomo cyborg
Uno dei principali esempi di come la tecnologia possa essere utilizzata come strumento per migliorare le funzionalità del corpo umano e consentire il ripristino o, quantomeno, il mantenimento delle funzionalità base del corpo umano, è Peter Scott Morgan, esperto in robotica meglio conosciuto dalla cronaca come “l’uomo-cyborg”.
Tutto ha inizio nel 2017, anno nel quale allo scienziato viene diagnosticata la malattia del motoneurone, ovvero la stessa patologia neurodegenerativa che affliggeva il fisico Stephen Hawking, costringendolo sulla sedia a rotelle. La diagnosi infausta, di soli 2 anni di vita, porta Peter a scegliere di intraprendere un percorso di cibernetica migliorativa, sottoponendosi a numerose operazioni il cui scopo era quello di rallentare il decorso della malattia.
Le prime procedure hanno avuto inizio nel luglio 2018, quando Peter si è sottoposto a un intervento particolarmente invasivo che gli consente, mediante il ricollocamento dello stomaco e l’utilizzo di una pompa, di nutrirsi. Nel 2019 ha rimosso le corde vocali mediante una laringectomia, così da poter respirare artificialmente mediante ausili esterni. La sua voce, tuttavia, è stata registrata e inserita all’interno di un software che gli consente di elaborare circa 20.000 parole, usando solo lo sguardo: delle telecamere seguono il movimento dei suoi occhi mentre digita le parole su uno schermo, e le frasi vengono riprodotte attraverso gli altoparlanti usando una voce sintetica identica all’originale. Su uno schermo, inoltre, un avatar parla e si esprime al suo posto, guidato sempre dal movimento oculare.
L’obiettivo perseguito da Peter è quello, grazie al continuo sviluppo tecnologico, di poter camminare grazie a un esoscheletro, diventando “l’organismo cibernetico umano più avanzato mai creato in 13,8 miliardi di anni”. “Se possiamo migliorare le cose per Peter“, ha affermato il marito Francis (i due hanno formato una unione civile in Gran Bretagna nel 2005 e si poi sposati nel 2014), “possiamo migliorarle per tutti i disabili, che si tratti di MND, ictus o vecchiaia. Molte persone stanno già contattando Peter per dire che sono ispirate, che ha dato loro speranza“.
La teoria cyborg di Donna Haraway
Donna Haraway (foto Yale University)
Sotto un profilo più filosofico e antropologico, la figura del cyborg ha assunto estrema rilevanza, in quanto essere ibrido, che supera le concezioni dell’uomo tradizionali e ne travalica ogni confine, anche di genere.
In tal senso, una delle principali teorizzazioni che ruotano intorno al concetto del cyborg è il “Manifesto cyborg” di Donna Haraway, filosofa e docente statunitense che ha coniato negli anni 80-90 la c.d. “teoria cyborg” o “cyberfemminismo”, ossia una branca del pensiero femminista che si occupa di studiare il rapporto esistente tra la scienza e l’identità di genere.
Secondo la teoria cyborg della Haraway, la cultura occidentale si fonda su una struttura di natura binaria, che ruota attorno a coppie di categorie fisse (uomo/donna, corpo/mente, naturale/artificiale). Alla struttura dualistica del pensiero si associa non un concetto di simmetria e di equivalenza, ma di predominio di un elemento sull’altro: sulle donne, sulle persone di colore, sulla natura, sugli animali, ecc.
Con l’introduzione del cyborg, tuttavia, si assiste a un mutamento dello status quo: considerato come individuo asessuato, come unione di uomo e macchina, il cyborg travalica le differenze di genere e il concetto duale del mondo, permettendo di superare anche i pregiudizi che sono connessi a questo tipo di pensiero. Poiché grazie alla scienza il corpo smette di essere inalterabile, intoccabile e immodificabile, in contrapposizione alla concezione dualistica che vede due elementi inevitabilmente contrapposti e immutabili secondo la natura delle cose, ne consegue che il dualismo antitetico non è più una naturale condizione dell’uomo, ma una costruzione prettamente culturale e sociale, che può essere tranquillamente superata.
Ne consegue che, con l’avanzamento tecnologico e l’abbattimento delle barriere fisiche tradizionali, non è più possibile pensare all’uomo in termini esclusivamente biologici, e l’intero pensiero occidentale viene invalidato, lasciando spazio a nuove figure prese in prestito dall’immaginario fantascientifico collettivo e utilizzate quale elemento di emancipazione e rivoluzione femminista.
Il Manifesto Cyborg
“Non è solo che “dio” è morto, è morta anche la “dea”; o meglio, vengono entrambi rivitalizzati nei mondi pervasi dalla politica microelettronica e biotecnologica. Se parliamo di componenti biotiche non dobbiamo pensare in termini di proprietà essenziali, ma in termini di progettazione, di proprietà di confini, tassi di flusso, logica dei sistemi, costi di abbassamento dei confini“, afferma la Haraway nel suo Manifesto Cyborg del 1985, considerato una delle pietre miliari nello sviluppo della teoria femminista post-umanista, in quanto dà spazio a nuovi modi di pensare il femminismo tradizionale. “I cyborg“, sostiene, “che popolano la fantascienza femminista rendono assai problematica la condizione di uomo o di donna, di umano, di manufatto, di membro di una razza, di entità individuale o di corpo.”
Come evidenziato da Antonio Allegra, docente di Storia della filosofia, nel suo saggio “L’uomo di fronte alla sfida postumana“, alla Haraway e al suo Manifesto femminista va dunque il merito di aver elaborato una nuova prospettiva dell’uomo. “Per la Haraway“, afferma Allegra, “siamo alle soglie di una mutazione che travalica il biologico pur se segue le regole dell’evoluzione darwiniana, vista per l’appunto come perpetua transizione verso altro. Il postumano si colloca oltre l’uomo, ma ancora, e paradossalmente, nella catena dell’evoluzione da cui proveniamo. Entra prepotentemente in campo una lettura fluida della realtà, esplicitamente pensata in opposizione a qualsiasi pretesa essenzialistica. Ogni istanza di stabilità, d’altra parte, non sarebbe che una gerarchizzazione artificiale del reale, il cui statuto originario è liquido ed instabile (ogni “forma” va intesa come una concrezione provvisoria o meglio ancora come esigenza d’ordine convenzionalmente o “politicamente” motivata). In qualche modo, il crollo delle distinzioni, proprio perché intrinsecamente informe autorizza la tensione utopica di affermare grazie alla «fusione con gli animali e le macchine come non essere l’Uomo, l’incarnazione del logos occidentale». Si tratta, dunque, di spostare il focus dall’epicentro umano verso un «continuum con il mondo animale, minerale, vegetale, extra-terrestre e tecnologico», ovvero un «egualitarismo post-umanistico» dall’aspetto necessariamente caotico e contaminato“.
In sintesi, il concetto di cyborg, nel saggio della Haraway viene utilizzato non come macchina distruttrice e guerrafondaia (come invece appare nella maggior parte della cinematografia), ma come simbolo per giustificare il rifiuto di ogni dualismo generato dalla società di stampo prevalentemente maschilista e tardo-capitalista preso in esame dall’autrice, e il superamento non solo dei confini tra uomo e donna, ma anche dei confini tra umano/animale e tra uomo/macchina, oltre che di ogni altro concetto binario tradizionale.
Ciò che muove la Haraway è, in particolare, la necessità (particolarmente sentita dai nuovi movimenti di sinistra dell’epoca in cui l’autrice scriveva) di ripensare l’uomo alla luce delle nuove e profonde trasformazioni cui si assisteva, in ogni ambito, a livello globale.
I principali esempi nel cinema e nell’animazione
In chiusura, non può mancare un cenno ai cyborg entrati nell’immaginario comune, che hanno spesso rappresentato, seppur nella loro finzione, un punto di riferimento per molti scienziati, che vi si sono ispirati per moltissime tecnologie che oggi sono di comune utilizzo.
Chi scrive, in particolare, rimane sempre affascinata dal notare come gli ideatori della celeberrima serie tv Star Trek abbiano precorso gli eventi, immaginando strumenti come i tablet (chiamati PADD), gli smartwatch, i telefoni cellulari (denominati comunicatori, e presenti già nella serie originale del 1966!) e persino gli assistenti virtuali.
Il carattere profondamente innovativo di Star Trek si riscontra nel modo stesso in cui i cyborg sono rappresentati. Si va, infatti, da un concetto di cyborg “classico” (ossia soggetti che utilizzano visori, innesti o altro) a vere e proprie entità collettive: i Borg.
Borg della serie Star Trek
I Borg sono rappresentati, nell’universo di Star Trek, come il perfetto connubio tra l’uomo e la macchina: mediante la c.d. assimilazione, infatti, i Borg privano gli esseri organici delle proprie individualità, servendosi di avanzate tecnologie che permettono di acquisire le caratteristiche di ogni specie assimilata e la loro conoscenza tecnologica e di condividerle con l’intera comunità, allo scopo di perfezionarsi costantemente. Nella società Borg, un po’ come nella società cyborg immaginata dalla Haraway, non esistono differenze alcune: i Borg sono un’unica entità asessuata, una coscienza, e hanno travalicato il confine del corpo.
Anche nell’animazione sono presenti moltissimi personaggi cibernetici iconici: fra tutti, spicca Motoko Kusanagi del manga Ghost in The Shell (da cui è stato tratto l’omonimo film con Scarlett Johansson), ambientato in un mondo futuro la cui protagonista principale è proprio un’agente giapponese che si è sottoposta a pesanti modifiche corporee cibernetiche, al punto che l’unico elemento organico del proprio corpo è il solo cervello. Nel manga non mancano profonde riflessioni su quali siano i limiti tra l’uomo e la macchina e su cosa rende effettivamente un corpo “umano”.
Anche nell’anime tratto dall’omonimo manga “Dragon Ball” si affronta il tema dei cyborg: ben noti ai ragazzi cresciuti negli anni ‘90 e 2000 (come chi scrive) sono i Cyborg C-17 e C-18. Questi ultimi sono robot umanoidi creati a partire da una base umana e, dunque, possono essere pienamente annoverati nella definizione di cyborg. La loro natura ibrida di umani e macchine li rende incredibilmente forti e resistenti, oltre che in grado di invecchiare molto più lentamente degli esseri umani, grazie a un deterioramento cellulare più lento. Inoltre, non hanno la necessità di nutrirsi con del cibo, ma esclusivamente di reintegrare i liquidi (superando così anche il bisogno primario della fame).