Nei primi decenni del nuovo millennio, a differenza della seconda metà del secolo scorso che fu caratterizzata da una forte spinta al materialismo, si sta assistendo a una sempre più marcata tendenza alla smaterializzazione (Leone 2014). Questa progressiva inclinazione è strettamente connessa con lo sviluppo tecnologico, quindi delle nuove tecnologie di comunicazione che rappresentano, contemporaneamente, la causa e l’effetto di questa nuova forma culturale di valorizzazione della smaterializzazione (ibidem). La trasformazione del reale materiale in virtuale digitale sta avvenendo in una maniera sempre più veloce, anche grazie all’immane progetto di Facebook-Meta di costruire un metaverso, provocando una inesorabile svalorizzazione della materialità (ibidem), anche dovuta alla crescente digitalizzazione delle relazioni che, nell’era della pandemia più che mai, ha reso il corpo e lo spazio sempre più superflui, a favore di un’identità virtuale costituita di numeri e pixel.
I robot collaborativi
Il fenomeno globale della pandemia ha contribuito a costruire intorno al corpo molteplici significati dotati di diverse sfaccettature. Se si può affermare che il distanziamento imposto e il “divieto di assembramento” stanno in tutti i modi cercando di allontanare i corpi umani gli uni dagli altri in una ricerca di isolamento del corpo a favore di una alternativa sociale digitale, è pur vero che la maggiore mancanza fisica del contatto, anche tra corpi estranei, sta ponendo sotto una luce diversa l’atteggiamento che l’era della smaterializzazione aveva costruito intorno all’idea di corpo: la presenza e l’identità fisica vengono percepite, in un clima di stanchezza sempre più pesante, non più come l’alternativa analogica alla vita digitale e smaterializzata, ma piuttosto come uno status quo da ripristinare per riappropriarsi della vita fisica del corpo in relazione a quello degli altri.
Nonostante questo anelito al ritorno del corpo attivo all’interno della vita sociale (intesa anche fisicamente), la propensione e la forma mentis che piano piano si stanno insinuando nelle abitudini di tutti stanno inesorabilmente progredendo verso lo svuotamento degli spazi da parte delle persone, a favore dell’occupazione di essi da alternative “non contagiose o contagiabili”: i robot. Questi, però, non sono da intendere come coloro che potrebbero sostituire completamente l’uomo nel mondo fisico, specialmente nel lavoro, ma, al contrario, essi potrebbero proporsi come collaboratori e aiutanti dei lavoratori umani. Sempre di più, infatti, la ricerca dell’intelligenza artificiale si sta focalizzando nella costruzione di robot, intesi come corpi artificiali dotati di un’intelligenza propria capace di relazionarsi sapientemente con l’uomo e il suo corpo.
Intelligenza artificiale e corpo
Quest’ultimo, il corpo, può rappresentare una parte importante nella relazione uomo-macchina, e per far ciò, occorre che entrino in campo anche discipline non strettamente matematiche e informatiche. La semiotica, tra tutte, può fornire un contributo molto importante nello sviluppo di strumenti utili per concepire un robot in grado di interagire verbalmente e non verbalmente con l’essere umano, in un modo efficace e funzionale. È bene sottolineare, infatti, quanto sia importante per una ricerca che miri a produrre un’intelligenza artificiale collaborativa, dotata di un sistema hardware e quindi di un corpo, tenere in considerazione ambiti di studio come la cinesica, la prossemica e la semiotica del corpo soprattutto se si considera il doppio filo che lega l’intelligenza artificiale al corpo nell’interazione con l’essere umano: da un lato, in quanto robot, essa deve poter avere consapevolezza del corpo di cui è dotata e quindi riuscire a comunicare anche tramite esso; dall’altro, quando si ritrova a dover collaborare con l’uomo, l’intelligenza artificiale deve poter essere in grado di comprendere il linguaggio del corpo umano fatto di gesti, emozioni e segnali non verbali.
Il duplice compito di questa tecnologia, di comprendere e di farsi comprendere, è ancora ben lontano dall’essere realizzato. Quando, invece, si interagisce con la tecnologia non è così semplice riuscire a farsi capire e collaborare con essa. Confrontarsi con un assistente vocale, per esempio, è spesso snervante e nella maggior parte dei casi bisogna ripetere le cose più volte per poi ottenere risposte non esaustive o, addirittura inutili.
Quando l’uomo osserva qualcosa, vede al di là della realtà fisica, non percepisce, come un’intelligenza artificiale, solo pixel, dimensioni, colori e altre caratteristiche fisiche del soggetto rappresentato: l’essere umano arricchisce ciò che vede con la sua esperienza, il suo vissuto e la sua dimensione emotiva e vi attribuisce significati aggiuntivi. Questo vale anche nell’interazione con gli altri esseri umani. Quotidianamente, infatti, ci si scambia informazioni verbali e non verbali senza alcuna fatica, spesso anche involontariamente e si colgono segnali quasi impercettibili provenienti dalla persona con cui si interagisce che comunicano più di quanto essa non faccia con il linguaggio.
L’AI come partner collaborativo dell’uomo
Nell’ambito dell’intelligenza artificiale collaborativa, quindi, è fondamentale sviluppare la capacità di comprendere l’uomo e di prevederne le necessità e adattarsi ad esse. Si deve progettare un robot più umano. Non più uno strumento che l’uomo deve imparare a usare per svolgere dei compiti, ma un vero e proprio partner con cui collaborare. Questo cambio di prospettiva nella concezione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro e nella vita quotidiana è anche importante perché potrebbe ribaltare il sentimento dell’immaginario comune rispetto questa tecnologia: non più vista come qualcosa che va a sostituire l’uomo in alcune mansioni, ma piuttosto come una tecnologia progettata per essergli d’aiuto.
Il futuro della ricerca deve prevedere, infatti, di sviluppare non più una robotica sostitutiva ma collaborativa che permetta di sfruttare e coniugare gli aspetti positivi dell’essere umano con quelli dell’intelligenza artificiale: la capacità creativa e di risolvere facilmente i problemi dell’uomo e la precisione, la forza e la ripetitività delle azioni da parte della macchina intelligente. Occorre progettare un robot, quindi, che sia in grado di esprimersi efficacemente con l’uomo anche solo con il suo corpo: per esempio, che sia capace come l’uomo, di trasmettere il senso di urgenza e di impellenza senza comunicarlo con le parole, ma solo attraverso la gestualità e il movimento.
I robot e la comprensione dei messaggi del corpo
Cogliere (e riprodurre) i messaggi che un corpo può comunicare risulta, quindi, una cosa molto complessa, specialmente se è un’intelligenza artificiale a doverlo fare. Il corpo, infatti, non è solo un insieme anatomico e organico di parti fisiche e carnali interconnesse tra loro che, come nella parte hardware del robot, servono solo a trasmettere stimoli di movimento, a mantenere attive le funzioni vitali e a trovare una sua posizione in uno spazio fisico. Il corpo è anche e soprattutto un dispositivo testuale da comprendere e interpretare in quanto risultato della cultura nel quale è situato: esso “è la messa in scena e la legittimazione dell’arbitrario culturale” (Pasquinelli 1988: 11).
Lo studio di come un robot possa comprendere e riprodurre, a sua volta, le mille sfaccettature di un messaggio in base a ciò che si trova davanti deve necessariamente partire dall’analisi semiotica del corpo in quanto mezzo di comunicazione e significazione. Un approccio di stampo semiotico, nella ricerca e nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, risulterebbe vincente perché capace di permettere a questa tecnologia di abbattere la barriera del significato e dell’incomprensione ma anche di studiare il funzionamento di un sistema-corpo robotico adeguato che si identifichi nella concezione culturale che l’essere umano ha di esso affinché quest’ultimo possa non sentirsi minacciato (o incompreso) dall’intelligenza artificiale e sviluppare, quindi, con essa un processo comunicativo efficace.
Note
- Leone, Massimo. 2014. Spiritualità digitale. Il senso religioso nell’era della smaterializzazione. Mimesis: Milano.
- Pasquinelli, Carla. 1988. Il corpo tra natura e cultura. Milano: Franco Angeli.